Data: 31/03/2016 13:40:00 - Autore: Avv. Daniele Paolanti

Avv. Daniele Paolanti - La sicurezza sul lavoro rappresenta da sempre uno dei temi più delicati e controversi sui quali dottrina e giurisprudenza si sono reiteratamente pronunciate al fine di individuare la linea di demarcazione che separa la responsabilità del datore di lavoro rispetto a quella del lavoratore.

Come opportunamente evidenziato nel Testo Unico per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008) il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire che dall'esercizio dell'attività (dallo stesso organizzata) non scaturiscano dei danni ai lavoratori, ovvero all'insieme delle persone preposte alla conduzione dell'attività stessa.

Il datore di lavoro, pertanto, organizza l'attività di impresa al fine di specificare quali adempimenti dovranno essere svolti dai dipendenti che, di conseguenza, dovranno attenersi a quanto loro richiesto, fermo restando l'obbligo del datore di lavoro di salvaguardare l'integrità psicofisica dei lavoratori eliminando o cercando di ridurre al massimo i rischi che possono procurare dei danni alla salute. In questo contesto si inserisce la responsabilità del datore di lavoro che sorge ogni qual volta le predette norme atte a garantire determinati standard di sicurezza non vengano rispettate.

La giurisprudenza, tuttavia, ha escluso la responsabilità del datore di lavoro laddove si dovesse determinare un infortunio causato da una condotta "abnorme" del lavoratore il quale, scostandosi dalle direttive ricevute, assume un comportamento per sua natura imprevedibile e tale comunque da non poter essere in alcun modo impedito dal datore di lavoro.

Come si legge in una nota pronuncia della Suprema Corte, infatti, "la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; abnormità che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti" (Cass. Pen. Sez. IV, sent. 14.03.2014).

Dalla pronuncia citata si apprende come pertanto una condotta abnorme, e come tale idonea ad escludere la responsabilità del datore di lavoro nonché degli organi preposti al controllo dell'osservanza delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sia quella che si contraddistingua per la sua stranezza ed imprevedibilità e come tale, pertanto, ex se idonea a causare l'infortunio o l'evento morte. È sempre la Corte di Cassazione ad ammettere, con apodittica chiarezza, che "[…] soltanto al verificarsi di comportamenti di tale gravità che per le loro caratteristiche non siano più in alcun modo riconducibili al potere - dovere di controllo dell'imprenditore sulla sicurezza nelle condizioni di lavoro, si interrompe il nesso causale tra la responsabilità del datore e l'evento lesivo verificatosi a carico del lavoratore, con esclusione del rapporto con causale, ed esenzione del datore di lavoro dalla gravosa prova liberatoria e di un giudizio di accertamento in concreto delle rispettive percentuali di responsabilità. In questo caso infatti si considera il comportamento del tutto fuori dagli schemi del lavoratore unica causa efficiente del danno che lo stesso si è provocato" (Cassazione Civile, Sez. Lav., 29 maggio 2014, n. 12046).

Tuttavia giova ricordare come sempre la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto, a più riprese, che la condotta del lavoratore non sia idonea ad esimere da responsabilità il datore di lavoro quando questa sia caratterizzata da imprudenza, imperizia o negligenza, ma soltanto quando la condotta sia per sua natura abnorme, divenendo unico elemento causale del fatto, arrivando ad individuare quali elementi connotativi di detto comportamento l'inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo (ex multis v. Cass. n. 27127 del 2013). Anche la dottrina si è espressa al riguardo, rilevando come non sia tenuto ad alcun obbligo risarcitorio il datore di lavoro che fornisca la prova del comportamento abnorme del lavoratore, ovvero in grado di escludere il nesso di causalità tra negligenza datoriale ed evento infortunistico (sul punto v. Tommaso Feola, Adriana Di Corato, Rossella Castrica, Infortuni in itinere. Aspetti medico-legali: norma, giurisprudenza e dottrina, Giuffrè Editore, 2010 p. 247). Altri autori, sempre in argomento, hanno invece rilevato come il comportamento abnorme sia quello posto in essere autonomamente e come tale svoltosi in ambito estraneo alle mansioni affidate al lavoratore o, laddove dovesse rientrare in tali mansioni, consista in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (v. A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa, Trattato di Diritto Penale, I delitti contro la vita e l'incolumità personale, 2011, p. 471).

In conclusione si può quindi pacificamente ritenere che la responsabilità del datore di lavoro e degli organi preposti alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro sussista anche nell'eventualità in cui lo stesso lavoratore compia scelte imprudenti, potendosi escludere la responsabilità ed il conseguente obbligo risarcitorio nella sola ipotesi in cui il comportamento del lavoratore sia assolutamente imprevedibile e radicalmente lontano dalle scelte del datore di lavoro il quale, con un ragionevole sforzo, non avrebbe in alcun modo potuto prevederlo.


Avv. Daniele Paolanti del Foro di Ascoli Piceno

Dottorando di ricerca presso l'Università degli Studi di Teramo, Cultore della materia di Diritto Internazionale e Diritto dell'Unione Europea


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