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Data: 22/04/2016 21:05:00 - Autore: Antonino Miceli Dott. Antonino Miceli – Le file in udienza sono senza dubbio uno strazio per avvocati e praticanti, spesso costretti ad accalcarsi gli uni sugli altri. E tra i tentativi di scavalcare un collega c'è anche chi non si fa scrupolo di ricorrere a spintoni, gomitate o altre piccole "infrazioni" alle comuni regole dell'educazione. Ma, galateo a parte, sono leciti taluni mezzi per "farsi largo" sotto il profilo della deontologia professionale? Che dire ad esempio del caso in cui un un avvocato si faccia largo con l'ausilio della sua cercando di scansare i colleghi dal banco delle udienze? Senza dubbio siamo di fronte a una inaccettabile maleducazione ma il comportamento deve considerarsi anche contrario al decoro e all'immagine della professione forense. Basti pensare a due degli articoli del Nuovo Codice Deontologico Forense, approvato con seduta del Consiglio Nazionale Forense del 31/01/2014. Ci si riferisce, in particolare, all'art. 9 e all'art. 19. Nel dettaglio, l'art. 9, al comma I, dispone che "l'avvocato deve esercitare l'attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza, competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza". Nel caso in cui, anche per dileggio, un avvocato colpisca con la propria valigetta portadocumenti un altro legale, è chiaro che il comportamento posto in essere ha ben poco di decoroso e di corretto verso il collega che tiene udienza. Soprattutto se l'ambito in cui è posto in essere tale gesto è quello lavorativo e il luogo è un luogo pubblico dove si amministra la giustizia, ovverosia un Tribunale. Il tutto senza considerare che l'immagine della professione di avvocato in sé, quale volta all'esercizio del diritto fondamentale alla difesa di cui all'art. 24 Cost. a garanzia dei diritti e degli interessi del proprio assistito e all'affermazione della verità oggettiva processuale, con questi comportamenti viene svilita nella sua importanza ed essenzialità rituale. L'altra norma del codice deontologico che potrebbe venire in rilievo nell'esame della "curiosa" vicenda è, come detto, l'art. 19. Esso, infatti, dispone che "l'avvocato deve mantenere nei confronti dei colleghi e delle Istituzioni forensi un atteggiamento ispirato a correttezza e lealtà". E' evidente che, nel momento in cui l'anonimo collega, intento a compiere il gesto già descritto, viene scoperto anche da altri presenti in udienza (a prescindere dal ruolo che gli stessi rivestono nel processo), la correttezza e la lealtà che devono contraddistinguere i legali nei rapporti professionali ed extraprofessionali rischia di costituire un semplice baluardo di carta non rispettato. È chiaro che si tratta di una ricostruzione estremizzata, ma fondamentale per sottolineare come la correttezza, il decoro, la lealtà degli avvocati si debbano tradurre anche nel dovere di ognuno di operare con il massimo rispetto dei colleghi in un clima di solidarietà e pace che deve investire anche le piccole cose e i gesti quotidiani.
Dott. Antonino Miceli – laureato in legge presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore- Praticante Abilitato tel. 348 7030304. |
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