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Data: 10/04/2016 11:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - L'articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (IVA), non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell'imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento. Lo ha deciso la Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, nella sentenza del 7 aprile 2016 (qui sotto allegata), causa C-546/14 su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Udine, investito della procedura di concordato preventivo presentata dalla Degano Trasporti, vertente sull'interpretazione dell'articolo 4, paragrafo 3, TUE e della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (cd. direttiva IVA). Il 22 maggio 2014, la società coinvolta aveva presentato al giudice del rinvio una domanda di concordato preventivo: trovandosi in stato di crisi, intendeva liquidare in tal modo il suo patrimonio, al fine di provvedere al pagamento integrale di taluni creditori privilegiati e al pagamento in percentuale dei creditori chirografari e di creditori privilegiati di grado inferiore, per i cui crediti ha sostenuto che non vi sarebbe stata comunque capienza, neppure in caso di fallimento. Tra questi ultimi rientra un debito di IVA che la Degano Trasporti ha proposto di pagare parzialmente, senza vincolare tale proposta alla conclusione di una transazione fiscale Tuttavia, il Tribunale ha rilevato che l'articolo 182-ter della legge fallimentare pone il divieto di concordare, nell'ambito di una transazione fiscale, un pagamento parziale dei crediti dello Stato relativi all'IVA (ai quali la legge riconosce il rango di crediti privilegiati di grado 19°), essendo ammesso soltanto un pagamento dilazionato nel tempo. Il giudice del rinvio ha precisato che tale divieto vale in ogni caso e rimane inderogabile anche nell'ambito di una proposta di concordato preventivo, come confermato dalla giurisprudenza della Cassazione. Si richiede quindi l'intervento della Corte UE per stabilire se i principi e le norme contenuti nell'art. 4, paragrafo 3, TUE e nella direttiva Iva, così come già interpretati nelle sentenze della Corte, debbano essere altresì interpretati nel senso di rendere incompatibile una norma interna (e, quindi, per quanto riguarda il caso qui in decisione, un'interpretazione degli artt. 162 e 182 ter della legge fallimentare) tale per cui sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all'IVA, qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente e allestito del controllo formale del Tribunale, un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare. Nel rispondere al quesito, la Corte rammenta dalla direttiva IVA e dal TUE emerge che gli Stati membri hanno l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio. Nell'ambito del sistema comune dell'IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, al riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione. Tale libertà è tuttavia limitata dall'obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all'interno di uno degli Stati membri che nell'insieme dei medesimi. La direttiva IVA, proseguono i giudici, deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell'IVA, in base al quale operatori economici che effettuino operazioni uguali non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell'IVA. La procedura di concordato preventivo comporta che l'imprenditore in stato di insolvenza liquidi il suo intero patrimonio per saldare i propri debiti: se tale patrimonio non è sufficiente a rimborsare tutti i crediti, il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore. La procedura di concordato preventivo appare quindi tale da consentire di accertare che, a causa dello stato di insolvenza dell'imprenditore, lo Stato membro interessato non possa recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore. Inoltre, poiché la proposta di concordato preventivo è soggetta al voto di tutti i creditori ai quali il debitore non proponga un pagamento integrale del loro credito (e necessita dell'approvazione dei creditori che rappresentano la aggioranza del totale dei crediti dei creditori ammessi al voto), lo Stato membro interessato potrebbe anche votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito IVA qualora, in particolare, non concordi con le conclusioni dell'esperto indipendente. Resta inoltre salva la possibilità di contestare ulteriormente, mediante opposizione, una proposta di concordato approvata nonostante voto negativo, incentivando il controllo del giudice. Tenuto conto di tali presupposti, l'ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell'ambito di una procedura di concordato preventivo che non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell'IVA, non è contraria all'obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione.
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