Data: 24/04/2016 17:00:00 - Autore: Dott.ssa Floriana Baldino

Dott.ssa Floriana Baldino - Il 7 Aprile 2016 la Corte di giustizia UE ha pronunciato un'importantissima sentenza in materia di gestione del debito Iva nel concordato prefallimentare, che ribalta gli orientamenti giurisprudenziali consolidati nel nostro ordinamento.

La sentenza, in particolare, è quella resa nella causa n. C-546/14. Con essa è stata sostanzialmente confermata la posizione presa dall'avvocato generale UE, tesa ad escludere la responsabilità degli Stati membri in caso di mancata riscossione integrale dell'IVA da parte di aziende in crisi di liquidità.

Più nel dettaglio, la vicenda alla base della decisione era stata sollevata dal Tribunale di Udine, che si trovava ad affrontare una procedura di concordato preventivo ex art. 182 - ter l.f.

La legge fallimentare italiana, infatti, pone il divieto di concordare, nell'ambito di una transazione fiscale, un pagamento parziale dei crediti dello Stato relativi all'IVA – ai quali la legge riconosce il rango di crediti privilegiati di grado, ammettendone soltanto un pagamento dilazionato nel tempo.


Il Tribunale di Udine ha, quindi, sospeso il procedimento di concordato per sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: "I principi e le norme contenuti nell'articolo 4, paragrafo 3, TUE e nella direttiva IVA, così come già interpretati nelle sentenze della Corte [Commissione/Italia (C 132/06, EU:C:2008:412), Commissione/Italia (C 174/07, EU:C:2998:704) e Belvedere Costruzioni (C 500/10, EU:C:2012:186)], può essere interpretata nel senso di rendere incompatibile una norma interna (e, quindi, per quanto riguarda il caso qui in decisione, un'interpretazione degli articoli 162 e 182 ter della legge fallimentare) tale per cui sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all'IVA, qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente e all'esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare».

Del resto, seppure è vero che nell'ambito del sistema comune dell'IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, al riguardo, di una certa libertà in relazione al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione, tale libertà è tuttavia limitata dall'obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, sia all'interno di uno degli Stati membri che nell'insieme dei medesimi.

La Corte di giustizia, in sostanza, si è trovata a doversi pronunciare sulla compatibilità con le disposizioni del diritto sovranazionale della possibilità, per le aziende in crisi di liquidità, di pagare parzialmente l'IVA, senza che ciò comporti alcuna responsabilità da parte dello Stato membro in merito alla mancata riscossione totale dell'imposta.

Altra questione controversa era quella relativa al se, tra i tagli dei debiti nelle procedure fallimentari, sia possibile far rientrare anche l'IVA.

Bene: contrariamente a quanto previsto dalle leggi nazionali e contrariamente a quanto avevamo già detto in un nostro precedete articolo che qui richiamiamo, https://www.studiocataldi.it/articoli/21120-come-ridurre-i-debiti-con-banche-ed-equitalia.asp , la Corte di giustizia, nella pronuncia in commento, ha affermato che, nel tagliare il debito IVA, gli Stati membri non violano alcun obbligo purché vengano rispettate determinate condizioni. In particolare:

- l'imprenditore deve trovarsi in difficoltà finanziaria;

- un esperto indipendente attesti che l'Erario non otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento dell'imprenditore.

Interpretando dunque la direttiva IVA in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell'IVA, in base al quale gli operatori economici che effettuano operazioni uguali non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell'IVA, si è trattato di verificare se l'ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, così come prevista dalla normativa nazionale, sia contraria all'obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione.

Nel risolvere la questione, la Corte di giustizia ha quindi affermato che, come noto, la procedura di concordato preventivo prevede che l'imprenditore in stato di insolvenza liquidi il suo intero patrimonio per saldare i propri debiti.

Tuttavia, se tale patrimonio non è sufficiente a rimborsare tutti i crediti, il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore.

Insomma: il pagamento parziale dell'IVA è ammesso, pur nel rispetto dei suddetti requisiti.


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