Data: 25/04/2016 11:00:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani
di Paolo M. Storani - Il Tribunale di Fermo, Sez. GIP - GUP, in persona del Giudice Domenico Potetti, prestigioso pubblicista, in data 4 febbraio 2016 ha emesso una significativa pronuncia in tema di patrocinio a spese dello Stato. Per la sua chiarezza espositiva e per il ricco corredo di giurisprudenza intendiamo proporla ai lettori di LIA Law In Action.

Omissis...

1) In fatto.

Nel caso di specie la richiesta di accesso al beneficio del patrocinio statale è stata proposta dall'imputata nell'ottobre 2011, e in quella sede ella attestava che lei stessa aveva percepito nel 2010 € …, e il familiare … aveva percepito, nello stesso anno, € … (totale dei due redditi predetti: euro …).

L'Agenzia delle Entrate, per l'anno d'imposta 2010 ha invece accertato che al reddito dell'imputata (€ …) si è sommato il reddito di … (familiare convivente; € …), per un reddito complessivo superiore quindi al limite legale (consistente allora in €12.693,98, considerati gli aumenti dovuti al numero di familiari conviventi).

Orbene, l'art. 95 del DPR n. 115-02 prevede fra l'altro che la falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall'art. 79, comma 1, lettera c) (attestazione sul reddito) è punita con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37 (e che la pena è aumentata se dal fatto consegue, come nel nostro caso, l'ottenimento dell'ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato.°°°

L'imputata si è difesa in udienza dichiarando di avere portato al suo avvocato i documenti richiesti, e che (essendo il suo grado di istruzione pari alla terza media inferiore) si era affidata all'operato del proprio difensore.

Sono stati prodotti i CUD 2011 di … e di …, che riportano gli ammontari di reddito di cui alla richiesta incriminata di accesso al beneficio.

2) In diritto.

2.1 Allo stato degli atti non è chiaro a questo giudicante se e come sia insorto un ipotetico errore dell'imputata, in ordine alla determinazione del reddito da prendere a base per l'accesso al beneficio del patrocinio statale.

La difesa ha prodotto i suddetti CUD, dai quali emergono, fra l'altro, le cifre a suo tempo indicate in occasione della richiesta di accesso beneficio.

A fronte di ciò vi sono i dati, sostanzialmente non commentati, offerti dall'Agenzia delle Entrate.

Le indagini effettuate non sono state indirizzate nella direzione dell'elemento soggettivo del reato, e in particolare sul tema dell'ipotetico errore nel quale sarebbe caduta l'imputata.

Su tali premesse questo giudicante non ritiene di doversi ulteriormente attivare nei sensi di cui al comma quinto dell'art. 441 del codice di rito penale.

Le iniziative probatorie del giudice ivi indicate, per essere rispettose della natura accusatoria del processo, non possono essere avviate per seguire piste investigative delle quali non si intravedono i contorni e la sicura concludenza.

Dovendo quindi, per tale motivo, decidere il processo allo stato degli atti, trattandosi di materia tecnica nella quale (per comune massima di esperienza) è logico che l'interessato si affidi all'operato del professionista, appare credibile quanto sopra dichiarato dall'imputata a sua difesa.

Si deve quindi ritenere (non essendovi prova contraria) che l'imputata cadde in errore circa il contenuto della propria richiesta di accesso beneficio, pur essendosi rivolta al suo difensore.

Questa è, dunque, l'ipotesi di lavoro su cui esercitarsi.

2.2 A ben vedere si è trattato, in ipotesi favorevole all'imputata, di errore su norma apparentemente extra penale, e cioè sulle norme che stabiliscono come debba essere calcolato il reddito rilevante ai fini di accesso al beneficio di cui trattasi.

A stretto rigore, tuttavia, questo errore va considerato come errore sulla norma penale, in quanto si tratta di norma integrativa della norma penale, nel caso consistente nell'art. 95 del D. P. R. n. 115 del 2002.

Infatti la Cassazione tradizionalmente distingue, fra le norme extrapenali, due categorie.

La prima categoria è quella delle norme extrapenali integratrici del precetto penale, le quali (essendo in esso richiamate, e quindi incorporate, mediante rinvio recettizio) sono da considerarsi legge penale.

Questo pare essere il caso che ci occupa.

Di conseguenza, l'errore su di esse è errore sulla legge penale e quindi non scusa, ai sensi dell'art. 5 c.p. (salvo che si tratti di errore inevitabile sul precetto, secondo la versione attuale dell'art. 5 c.p., introdotta con la sentenza della C. Cost. n. 364 del 1988, della quale tratteremo).

La seconda categoria è quella delle norme extrapenali non integratrici del precetto penale, le quali consistono in quelle disposizioni destinate fin dall'origine a regolare rapporti giuridici di natura non penale, e che non siano richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale (al contrario del nostro caso).

Solo l'errore che cade su questa seconda categoria (norme non integratrici) esclude il dolo, trattandosi di errore sul fatto, a norma dell'art. 47, comma 3, c.p. (v. Cass., Sez. V, 20 febbraio 2001, in Cassazione Penale, 2002, p. 3872; Sez. V, 11 gennaio 2000, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2000, p. 1085; Sez. VI, 18 novembre 1998, , in Cassazione Penale, 2000, p. 2636; fra le tante).

Quindi, a stretto rigore, l'imputata non può andare assolta per errore su norma extra – penale (conf. nello specifico argomento Cass., n. 37590 del 2010, n. 1305 del 2014 dep. nel 2015, n. 14011 del 2015).

2.3 Ritiene tuttavia questo giudicante che l'imputata possa andare assolta dall'imputazione a lei ascritta proprio sulla base dell'art. 5 del codice penale, così come riformato dalla suddetta giurisprudenza della Corte Costituzionale.

A seguito della sentenza Corte Cost. n. 364 del 1988, secondo la quale l'ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l'autore dell'illecito, occorre chiarire i limiti di tale inevitabilità.

Orbene, per il comune cittadino (come nel nostro caso) tale condizione è sussistente ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia.

Tale obbligo è invece particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica (v. Sez. Un., n. 8154 del 1994).

3) Soluzione della questione di responsabilità.

In conclusione, nel nostro caso, l'ipotesi di lavoro (corrispondente alla versione sostenuta dall'imputata, assolutamente plausibile, e non investigata e incrinata durante le indagini preliminari) è che l'imputata, pur essendosi rivolta al suo difensore per la compilazione della domanda di accesso al beneficio del patrocinio statale, sia caduta in errore nella individuazione del reddito rilevante per l'accesso al beneficio.

Nel dubbio, ex art. 27 Cost., comma 2, …questa è, appunto, l'ipotesi di lavoro.

Come si è detto, trattasi di errore non su norma extra penale, ma di errore di diritto su norma penale (art. 5 c.p.).

Nonostante ciò l'imputata va comunque assolta, trattandosi di errore di diritto scusabile, ex Corte Cost., n. 364 del 1988 perché, dovendo decidere allo stato degli atti (e quindi in assenza di elementi contrari), si deve ritenere che l'imputata abbia correttamente adempiuto al proprio onere di informazione e che quindi il suo errore sia stato inevitabile.

Da ciò consegue l'assoluzione come in dispositivo.

f.to Dott. Domenico POTETTI


Tutte le notizie