Data: 29/04/2016 20:30:00 - Autore: Roberto Cataldi
di Roberto Cataldi - Titolo telegrafico. Sì. Volutamente telegrafico perché il mio appello è rivolto alle forze politiche che governano questo paese per trovare il tempo da dedicare a quella che è diventata una vera propria emergenza sociale.
Un paio di settimane fa, l'ISTAT ha consegnato alla Camera, davanti alle commissioni Lavoro e Affari Sociali, i nuovi dati sulla povertà in Italia.
Secondo questa nuova indagine, nel nostro Paese, si contano un milione e 470 mila famiglie residenti ridotte in condizioni di povertà assoluta, pari al 6,8% della popolazione.
Ma se si prendono in considerazione anche le persone che vivono in condizioni di povertà relativa i numeri salgono notevolmente. Si è più volte parlato di circa 10 milioni di persone povere.
Il dato ancora più allarmante riguarda l'inarrestabile incremento della povertà.
In Italia si discute da anni di questa emergenza, ma, mentre i membri dell'UE mantengono più che accettabile la spesa destinata alla protezione sociale della popolazione debole, noi osserviamo, fra il 2012 e il 2014, un aumento del 2% di poveri, senza alcun reale intervento da parte dello Stato.
A precipitare in questa difficile situazione economica sono soprattutto le famiglie numerose, con figli ancora minorenni, ma nemmeno i single se la passano bene, soprattutto se uomini e separati.
Il problema è evidente in tutte le zone d'Italia: se l'aumento della povertà riguarda maggiormente il Mezzogiorno, al Nord si rileva la presenza della metà dei senzatetto registrati dall'Istituto Nazionale di Statistica.
Il volto del povero non ha colore, non per forza di cose dev'essere l'extracomunitario, spesso non è nemmeno il tossico o lo sbandato.
Ha una faccia molto più familiare e vicina a noi: è il padre separato che per pagare il mantenimento non è in grado di permettersi un alloggio e si ritrova a vivere per strada, è chi ha perso il lavoro che gli consentiva di vivere una vita dignitosa, è chi ha dovuto chiudere l'attività soffocato da una imposizione fiscale insostenibile.
La relazione ISTAT parla di povertà assoluta ma, secondo i dati delle associazioni che operano a favore dei più deboli, in Italia, a non potersi permette una cena e un pranzo regolari è circa il 10% della popolazione, mentre dal 2007 ad oggi è raddoppiato il numero delle famiglie che non possono assicurarsi un pasto con una componente proteica ogni due giorni.
A confermare il dramma della crescente povertà ci pensa il Banco Alimentare che da anni opera, grazie ai suoi volontari, insieme a più di 9 mila strutture caritative. Mentre, nell'intollerabile inerzia dello Stato, si moltiplicano gli sforzi da parte di associazioni come la Caritas e la Croce Rossa per fronteggiare il crescente bisogno di aiuto verso le persone che versano in una condizione economica di indigenza. E il mondo politico che fa? Si lava la coscienza con i buoni propositi.
Del resto l'Italia, per contrastare la povertà, spende meno della media europea.
I dati pervenuti dall'ISTAT sono impietosi: solo lo 0,7% della spesa italiana per la protezione sociale è destinata a politiche che intervengono per arginare la povertà.
Siamo davvero l'Italia delle contraddizioni. Dietro al volto rassicurante del mondo politico che parla di crescita economica, di una crisi ormai alle spalle e che si preoccupa del destino degli istituti di credito, troviamo il volto di chi, fra privazioni e affanni, cerca di trovare le forze, ingegnandosi come può, per arrivare a fine mese.
L'Italia di chi ha fame e non riesce a sfamarsi, di chi vuole lavorare ma non trova un'occupazione, di chi cerca un tetto ma non ne ha mai diritto, non può essere ignorata solo perché il povero, oggi, non può far sentire la sua voce.
La nostra Repubblica che si fonda(va) sul lavoro non è in grado di garantirlo ai suoi cittadini. E le tasse che hanno raggiunto livelli insostenibili affossando l'economia di piccole imprese, artigiani, professionisti, non sono affatto giustificate da reali esigenze di spesa se si considera che si bruciano ben 60miliardi l'anno in corruzione e appalti truccati, che non si vogliono toccare le pensioni d'oro che secondo un'indagine de La Stampa (http://www.lastampa.it/[...]KN/pagina.html) costano allo Stato ben 45 miliardi di euro ogni anno; che si fa poco o nulla per ridurre quegli sprechi che costano 74 miliardi di euro ogni anno e sui quali, come segnalano i media (v.: ilfattoquotidiano.it/...1896314/ e ilgiornale.it/...1154193.html) si potrebbe facilmente attuare un risparmio significativo.
Oggi chi perde la propria occupazione è destinato ad una vita di stenti, chi si trova costretto a chiudere la propria attività, non ha la possibilità di riscattarsi e, mentre il fisco impone a tutti di assolvere i doveri verso lo Stato, è proprio lo Stato a dimenticarsi del cittadino che si vede privato dei diritti più basilari e, quando si trova in stato di bisogno ci si dimentica del fatto che fino a poco tempo prima, quella stessa persona, aveva contribuito versando all'erario una grossa fetta del proprio reddito.
Ogni volta che si parla di interventi per fronteggiare l'emergenza povertà si dice che non ci sono i soldi. Ma come è possibile se ogni anno ognuno di noi paga allo Stato più della metà di quanto guadagna?
Sappiamo tutti che non sono i soldi che mancano ma è il modo in cui questi soldi sono stati gestiti che ha generato una crescente povertà, che ha portato molte imprese al fallimento, che ha fatto nascere una nuova generazione di poveri.
Il governo, alle prese con un debito pubblico crescente, anzichè intervenire su sprechi, privilegi e corruzione, preferisce tagliare i servizi facendone ricadere i costi sul cittadino.
Siamo arrivati al paradosso che sono proprio le fasce di popolazione più deboli quelle che stanno pagando la crisi e gli effetti di una politica economica scellerata.
In questa prospettiva sembra che non si tratti mai, seriamente, dei diritti di chi è stato contribuente per anni e che versa oggi in condizioni di indigenza. Si specula piuttosto sulla sua condizione quando, avvicinandosi le elezioni, si vuol raccogliere qualche manciata di voti in più.
Anche il recente disegno di legge sul contrasto alla povertà, visto da molti come un "salto nel buio", ancora prima di iniziare il suo cammino parlamentare, ha scatenato un'infinità di polemiche specie in relazione al paventato riordino delle prestazioni previdenziali. Tra conferme e smentite si resta tutti nel timore di vedersi sfumare prestazioni come la pensione di reversibilità. Un pericolo forse rientrato? Forse, ma non per questo appare scongiurato l'assioma in base al quale non c'è mai un intervento strutturale serio sulla piaga della povertà. E questo perché mancano misure economiche dirette a rimuoverne le cause piuttosto che a tamponarne gli effetti.
Aldilà dei "buoni propositi", sembra di assistere costantemente a un "teatro della politica" dove ci si preoccupa più di scaricare le responsabilità su una fazione o su un'altra, piuttosto che ammettere gli errori e intervenire sulla situazione d'emergenza in cui ci troviamo.
La politica discute ma non agisce, quasi indolente rispetto alla corruzione, per la quale il nostro Stato paga una cifra altissima, non si adopera per arginare una situazione ormai non più tollerabile.
Questa inerzia, che dura ormai da anni, dovrà pesare come un macigno sulla coscienza dei politici di ieri e di oggi, ammesso che di coscienza, questi, ne abbiano ancora.
E forse dovrebbero ricordare che come scrisse Nelson Mandela: "Sconfiggere la povertà non è un atto di carità, è un atto di giustizia".

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