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Data: 03/05/2016 15:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Il reato di maltrattamenti in famiglia a carico del coniuge è configurabile anche in caso di separazione e di conseguente cessazione della convivenza, allorché la condotta valga ad integrarne gli elementi tipici della fattispecie. Il presupposto della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, ex art. 282-bis c.p.p. non è infatti la condizione di attuale coabitazione dei coniugi, ma l'esistenza di una situazione per cui all'interno della relazione familiare prendono corpo condotte in grado di minacciare l'incolumità fisica e psichica di una persona. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione sesta penale, nella sentenza n. 17950/2016 (qui sotto allegata) dichiarando inammissibile il ricorso di una donna contro il provvedimento che le ha applicato la misura cautelare dell'allentamento della casa familiare ex art. 282-bis c.p.p. La ricorrente è indagata per il reato di maltrattamenti in danno dell'anziano coniuge non vedente e dalle risultanze processuali sono emersi gravi indizi di colpevolezza che hanno giustificato la misura, desumibili dalle dichiarazioni accusatorie della parte offesa (che ha indicato date e dinamica degli episodi salienti di vessazione e umiliazione infertigli stabilmente dalla consorte) e anche dagli univoci riscontri che esse hanno ricevuto dalle conformi testimonianze dei parenti dell'anziano e dell'assistente sociale. In particolare è emersa la situazione di grave conflittualità esistente tra i due coniugi, da tempo separati in casa. Ed è proprio su questo punto che si soffermano le doglianze difensive, secondo cui, poichè i due erano si fatto conviventi, ma separati, non sarebbe stato ipotizzabile far gravare sulla donna un obbligo di "accudimento" del marito, la cui inosservanza si tradurrebbe in condotte maltrattanti. Una ricostruzione che non convince i giudici del Collegio: troppi gli elementi che supportano la sostanziale veridicità della rappresentazione delle condotte di maltrattamenti per lungo tempo realizzate dalla donna in pregiudizio al coniuge, per le quali sono state proposte nei suoi confronti in passato molteplici denunce. Conferme che giungono anche dall'assistente sociale, persona certamente terza, e dagli stessi Carabinieri ai quali la donna ha consegnato più armi, tra cui alcuni fucili, a conferma delle minacce rivolte al marito anche con tali strumenti. In particolare, non assume rilevanza la condizione della separazione di fatto esistente tra la donna e il marito, nonostante la perdurante dimora comune, per far venir meno la fattispecie criminosa ex art. 572 c.p. Gli Ermellini evidenziano che il presupposto della oggettiva convivenza (coabitazione) tra l'indagata e la persona offesa, non diviene elemento essenziale del reato di maltrattamenti, ma integra soltanto un'occasione di fatto che agevola le condotte prevaricatrici. Ciò significa che il reato di maltrattamenti a carico del coniuge "è ben ravvisabile anche quando gli atti vessatori, confliggenti con un normale regime di via, siano posti in essere dopo la separazione di fatto e la cessazione della convivenza stricto iure". Nel caso di specie il quadro indiziario ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelare giustificanti l'applicata misura di cui all'art. 282-bis c.p.p., quale necessario presidio cautelare di garantita e immediata efficacia, idoneo a contrastare la radicata inclinazione, concreta e attuale della ricorrente alla reiterazione delle sue condotte illecite in danno del coniuge. |
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