Data: 04/05/2016 10:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Se il lavoratore decide di congedarsi dal lavoro dopo aver consultato l'Inps per conoscere la propria posizione contributiva ma si accorge successivamente che i conteggi erano errati, l'ente deve risarcire il danno prodotto dall'operato del suo funzionario.

In un caso preso in esame dalla Corte di Cassazione un lavoratore, a causa di un'errata comunicazione da parte dell'istituto previdenziale, era rimasto per diversi mesi senza lavoro e senza pensione.

Desideroso di ottenere il giusto risarcimento per le conseguenze subite a seguito dell'errore, si è quindi rivolto alla giustizia che, in sede di merito gli ha dato torto. Il verdetto è stato però ribaltato  in sede di legittimità.

Con la sentenza numero 8604/2016, depositata il 2 maggio e qui sotto allegata, la sezione lavoro della Corte di cassazione ha infatti sancito che se il lavoratore è indotto alle dimissioni da un comportamento colpevole dell'Inps, suo è il diritto ad ottenere il risarcimento del danno.

Tale risarcimento, più nel dettaglio, va quantificato tenendo conto delle retribuzioni perdute nell'arco temporale intercorrente tra la cessazione del rapporto di lavoro e l'effettivo conseguimento della pensione. Ciò in forza del completamento del periodo di contribuzione necessario grazie al versamento di contributi volontari.

Del resto l'Inps, ai sensi dell'articolo 54 della legge numero 88/1989, ha l'obbligo di comunicare i dati relativi alla situazione previdenziale e pensionistica all'assicurato che ne faccia richiesta e se la comunicazione è sbagliata occorre che si prenda le proprie responsabilità, anche se su di essa mancava la sottoscrizione del funzionario.

I giudici hanno peraltro chiarito che la responsabilità dell'istituto deve considerarsi di tipo contrattuale, derivando da un'obbligazione di origine legale e relativa a un rapporto intercorrente tra due parti. La conseguente applicabilità dell'articolo 1218 del codice civile comporta che la prova che l'inadempimento è derivato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile spetta al debitore. Pertanto nel caso di specie, a fronte dell'erronea indicazione da parte dell'Inps del numero dei contributi versati, il lavoratore non aveva neanche l'onere di provare la colpa o il dolo dell'istituto.

Come se tutto ciò non bastasse, la Corte si è anche soffermata a chiarire che il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino rappresenta uno dei fondamenti dello Stato di diritto ed è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico. Di conseguenza, le amministrazioni sono tenute a non frustrare in alcun modo la fiducia di soggetti titolari di interessi indisponibili.

Così, nel caso di specie a nulla rileva il fatto che l'assicurato non abbia chiesto aggiornamenti sulla sua situazione contributiva: il giudice del rinvio deve procedere a un nuovo esame della questione.


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