Data: 27/05/2016 19:30:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Sempre più italiani, negli ultimi anni, stanno decidendo di adottare un animale domestico che rallegri le proprie famiglie.

Gli amici a quattro zampe (e non solo) diventano dei veri e propri componenti del nucleo familiare, ai quali ci si lega profondamente dal punto di vista affettivo, tanto che nel caso in cui essi muoiano per colpa di un terzo la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto del proprietario ad essere risarcito dei danni subiti.

Il plurale non è un caso: il danno che la morte dell'animale d'affezione può generare, infatti, è sia quello morale che quello patrimoniale.

Cerchiamo di capire meglio di cosa stiamo parlando, ricordando preliminarmente che, come chiarito dal Tribunale di Varese con decreto del 7 dicembre 2011, "il sentimento per gli animali ha protezione costituzionale e riconoscimento europeo cosicché deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all'animale da compagnia".

Il danno morale

Come detto, il proprietario che perde il proprio amico a quattro zampe per fatto del terzo ha potenzialmente diritto ad essere risarcito sia del danno morale che di quello patrimoniale.

Soffermandoci più nel dettaglio sul danno morale, ricordiamo che si tratta di quello connesso al turbamento dello stato d'animo che può derivare dalla perdita del caro animale domestico.

Come precisato dalla giurisprudenza (ad esempio in una sentenza del Tribunale di Milano del 1° luglio 2014), tuttavia, affinché tale voce di danno possa essere effettivamente risarcita è necessario che il decesso dell'amico a quattro zampe sia derivato da un maltrattamento punibile ai sensi dell'articolo 544-ter del codice penale.

Se, invece, la morte è connessa a un comportamento del terzo che non sia caratterizzato da crudeltà o sia necessario oppure non derivi da sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili, al padrone il danno morale non spetta.

L'esempio tipico di (purtroppo) frequente verificazione è quello dell'automobilista che non si avvede della presenza dell'animale nonostante la dovuta attenzione e lo investa. In tal caso il danno morale non spetta.

Diverso è il caso in cui un terzo decida di "far fuori" volontariamente l'animale, magari somministrandogli una polpetta avvelenata: in una simile ipotesi il proprietario può chiedere e ottenere il ristoro per il turbamento subito a seguito della perdita.

Il danno patrimoniale

Come detto, tuttavia, chi è stato privato della compagnia di un animale domestico a seguito del comportamento di un terzo ha potenzialmente diritto ad essere risarcito non solo del danno morale ma anche del danno patrimoniale. Danno patrimoniale che, peraltro, non è sottoposto ai medesimi limiti che incontra invece quello morale.

Ciò vuol dire che il proprietario va risarcito, innanzitutto, delle spese veterinarie che abbia eventualmente dovuto sostenere per tentare di curare l'animale, purché esse siano conseguenza diretta ed immediata dell'evento dannoso e nei limiti di quanto risulti congruo utilizzando l'ordinaria diligenza.

Se poi l'animale ha un valore economico, ad esempio perché di razza, al padrone andrà risarcito anche tale valore a titolo di danno patrimoniale.


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