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Data: 26/05/2016 20:20:00 - Autore: Marina Crisafi di Marina Crisafi - L'obbligo della mediazione si applica anche alla domanda riconvenzionale "inedita" laddove attenga alle materie elencate dal legislatore. Sono queste le conclusioni cui approda il Tribunale di Verona, nell'ordinanza del 12 maggio scorso (qui sotto allegata), pronunciandosi su una questione che vede ancora una giurisprudenza altalenante. Nella vicenda, un cliente aveva trascinato la propria banca in giudizio la quale aveva proposto riconvenzionale per far condannare parte attrice al pagamento di oltre 32mila euro a titolo di saldo di un rapporto di conto corrente. Domanda sulla quale il tribunale, a scioglimento della riserva, ha rilevato il difetto della condizione di procedibilità, rinviando l'udienza con termine per il deposito dell'istanza di mediazione, nonostante già prima dell'inizio del giudizio fosse stato esperito tentativo di conciliazione su iniziativa degli attori, al quale aveva partecipato anche il difensore dell'istituto di credito, giacché in tale sede, non risulta che le parti avessero discusso della pretesa successivamente svolta dalla banca. Per cui essendo in presenza di una riconvenzionale c.d. inedita si deve ritenere che anch'essa sia soggetta a mediazione ai sensi dell'art. 5 comma 1 bis del decreto legislativo n. 28/2010. Militano a favore della sottoposizione anche di tale domanda al tentativo obbligatorio di conciliazione, secondo il giudice scaligero tre circostanze: 1) il fatto che la Cassazione (con sentenza n. 830/2006), ha interpretato una norma analoga, ed anzi identica nella sua prima parte all'art. 5 comma 1 bis d.lgs. n. 28/2010 (ossia l'art. 46 l. n. 3/1982, ora art. 11 d. lgs. n. 150/2011 in materia di contratti agrari), "nel senso che l'onere del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione sussiste anche nei confronti del convenuto che proponga una riconvenzionale secondo uno dei criteri di collegamento previsti dall'articolo 36 c.p.c."; 2) il termine "convenuto" utilizzato dall'art. comma 1bis del d.lgs. n. 28/2010, "per indicare il soggetto che eccepisce l'improcedibilità della domanda ben può essere riferito all'attore rispetto alla domanda riconvenzionale"; 3) escludendo la domanda del convenuto dall'ambito di applicazione dell'art. 5 citato si "provocherebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra attore e convenuto del tutto illegittima". Né a tali considerazioni, ha ragionato il tribunale, può obiettarsi che la norma in esame debba essere interpretata restrittivamente, costituendo una deroga al diritto di azione, "atteso che tale argomento presuppone che la norma sia inequivoca nell'escludere dall'obbligo di mediazione le domande cumulate mentre, dopo quanto detto sopra, così non è". Né, infine, può sostenersi che lo svolgimento di un secondo procedimento di mediazione dopo l'esito infruttuoso del primo sia "inutile e dispendioso", giacché esso avverrebbe, appunto, "sulla base di una circostanza sopravvenuta costituita dalla domanda di condanna del soggetto convenuto – idonea – a indurre le parti a riconsiderare la possibilità di una definizione transattiva della controversia". Giova sottolineare, tuttavia, che in materia sussiste ancora un contrasto aperto nella giurisprudenza (a favore dell'assoggettamento alla mediazione obbligatoria delle domande riconvenzionali si sono espressi, da ultimo, Trib. Roma, ordinanza 27.11.2015; Trib. Como, sezione Cantù, ordinanza 2.12.2012; contra: Trib. Palermo, ord. 27.2.2016; Trib. Reggio Calabria, ord. 22.4.2014). |
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