Data: 10/06/2016 20:50:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - L'avvocato che nelle sue difese offende il collega di controparte o il suo assistito rischia una condanna penale. Non sempre infatti si potrà invocare l'esimente prevista dall'art. 598 c.p. in base alla quale non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati dinanzi all'autorità giudiziaria o amministrativa, quando concernono l'oggetto della causa o del ricorso.

E' quanto emerge da una sentenza della quinta sezione penale della Cassazione, (la n. 23601/2016 qui sotto allegata), dichiarando inammissibile il ricorso di un legale condannato in appello per il reato di diffamazione per aver depositato, in un precedente processo penale, una memoria contenente dichiarazioni lesive della reputazione del difensore di controparte.

Il professionista ricorreva innanzi al Palazzaccio lamentando la mancata applicazione dell'esimente dell'immunità giudiziaria.

Ma per gli Ermellini il ricorso è inammissibile.

Nella memoria incriminata, infatti, l'imputato aveva accusato il legale di controparte di essere autore di imbrogli e falsità, con contenuto dunque non solo "offensivo e lesivo della reputazione professionale dell'avvocato" in sé ma anche "calunnioso" poiché attribuiva allo stesso la falsa rappresentazione dei fatti oggetto della querela. E non solo. Secondo la memoria, inoltre, il legale di controparte sarebbe stato l'ispiratore di altre false dichiarazioni rese ai Giudici allo scopo di trarli in inganno e, quindi, di attività calunniosa realizzata tramite terzi.

Le offese dirette al collega, come evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, ha affermato la S.C., "non avevano – peraltro - attinenza col merito della causa e si erano risolte in apodittici giudizi negativi sul suo operato, essendo, al contrario, necessaria la pertinenza tra le offese e l'oggetto della controversia ai fini dell'eventuale applicazione dell'esimente invocata".

Da qui l'inammissibilità del ricorso e la conferma della condanna, sulla base del principio coerentemente applicato dal giudice di merito e dal quale non vi sono ragioni per discostarsi in base al quale l'esimente di cui all'art. 598 c.p. "non si applica alle accuse calunniose contenute in tali atti, considerato che la predetta disposizione si riferisce esclusivamente alle offese e non può, pertanto, estendersi alle espressioni calunniose".


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