Data: 16/06/2016 11:00:00 - Autore: Dott. Roberto Paternicò
di Roberto Paternicò - Lo stesso parlamento inglese non ha le idee chiare sugli effetti di un'eventuale uscita del Regno Unito dall'Unione Europea e si susseguono varie ipotesi, da parte degli osservatori e analisti internazionali.
Il Financial Times prova ad ipotizzare tre scenari.

Nel primo, la Gran Bretagna dovrà modificare e/o revocare molte regole della UE (criticate dalle proprie imprese) e tornare ad essere attrice nella propria politica d'immigrazione purché non discriminatoria per i cittadini europei. Per le finanze pubbliche si risparmierebbero circa 13 miliardi di sterline all'anno, non più versate all'Unione europea, compensando 7 miliardi circa di sterline provenienti dai Fondi UE che non rappresentano, quindi, un'affare. Per le attività commerciali inglesi, seconde solo alla Germania e davanti alla Francia, dovranno essere rivisti e ridefiniti nuovi e diretti trattati commerciali con la UE e gli altri Paesi extra-UE, poiché le vendite con questi ultimi sono state regolate da accordi comuni degli Stati membri e non singolarmente.

Nel secondo, si prevede una forte svalutazione della sterlina che consentirà, poi, di trovarsi in una posizione economica migliore rispetto alla partecipazione nella UE. Nel primo periodo vi sarebbero difficoltà ed incertezze sino alla definizione degli accordi con la UE e con altre nazioni in una fase di ridotti investimenti e di fuga monetaria dalla sterlina. Gli investitori esteri, inizialmente, ridurrebbero o non presterebbero denaro alla Gran Bretagna, nel breve termine, attendendo che la situazione si stabilizzi.
Infine, nel terzo scenario, il peggiore, si ipotizza una lunga fase di recessione e una crescita rallentata a causa, anche, della difficile rivisitazione dei rapporti commerciali con i Paesi membri della UE. Una riduzione dell'export e ridotti consumi per cui il governo inglese sarebbe costretto ad aumentare le tasse.
L'uscita della Gran Bretagna, invece, avrebbe effetti meno gravi per l'economia della UE.
Secondo uno studio Standard & Poor's (calcolato sulle esportazioni di beni e servizi verso il Regno Unito in relazione al Pil nazionale, ai flussi bidirezionali di emigrazione, ai crediti del settore finanziario su controparti britanniche e investimenti stranieri diretti nel Regno Unito) l'Italia e l'Austria sarebbero i Paesi Ue meno vulnerabili.
La ridotta vulnerabilità italiana proverrebbe, quasi interamente, dall'export e dai rischi finanziari con l'UK.
Ecco i rischi per Paese:
1) IRLANDA 3,5
2) MALTA 2,9
3) LUSSEMBURGO 2,4
4) CIPRO 2,3
5) SVIZZERA 2,0
6) BELGIO 1,6
7) OLANDA 1,5
8) SPAGNA 1,5
9) NORVEGIA 1,0
10) SVEZIA 0,9
11) FRANCIA 0,8
12) GERMANIA 0,8
13) DANIMARCA 0,7
14) LITUANIA 0,7
15) LETTONIA 0,5
16) CANADA 0,4
17) FINLANDIA 0,4
18) UNGHERIA 0,4
19) ITALIA 0,4
20) AUSTRIA 0,3

Da un punto di vista finanziario, invece, per i cosiddetti Piigs, tra cui l'Italia con le sue debolezze strutturali e l'alto debito pubblico, potrebbero aprirsi scenari speculativi, da parte degli investitori, per dubbi sulla tenuta della UE e dell'euro.
Secondo altri osservatori, la Germania, in caso di ridotti scambi con l'Uk perderebbe, nella migliore delle ipotesi, 9 miliardi circa di euro di Pil e nella peggiore circa 60. I settori più colpiti sarebbero quelli: dell'automotive con perdite stimate intorno al 2%, dell'elettronica, del siderurgico e del settore alimentare che si aggiungerebbero al problema Volkswagen che da solo potrebbe costare già l'1,1% del Pil tedesco.
Gli Stati membri UE, inoltre, dovranno compensare la mancanza dei contributi versati ogni anno dalla Gran Bretagna all'Europa e la sola Germania dovrebbe versare circa 2,5 miliardi di euro in più.
Il vero timore della Brexit é di carattere più politico che economico proprio per il possibile effetto domino nell'uscita a catena di altri Paesi.
La UE, sino ad ora, ha fallito su tutti i fronti: burocrazia e regole inutili o dannose, non omogeneo coordinamento delle esigenze degli Stati membri (troppo diseguali o con interessi contrastanti), mancato rispetto delle identità nazionali e delle proprie leggi, problema dell'immigrazione allo sbando, irrisolto problema bancario se non a scapito dei clienti, assenza di consenso da parte dei popoli europei, etc.
Se la dissoluzione della Ue dovesse rendere alcuni Paesi europei pressoché irrilevanti verso nazioni come Stati Uniti, Cina o altri é altrettanto vero che un'Europa di 28 Paesi che non riesce a condividere politiche di miglioramento della situazione dei suoi membri e con il plauso dei propri cittadini, non servirebbe a nulla.
Per la Gran Bretagna, paradossalmente, più aumentano le probabilità di uscita dalla UE più vengono acquistati i suoi titoli di stato "Gilt" che, proprio in questi giorni, hanno registrato un aumento del 39%. Un segnale dei mercati?
Il tabloid inglese "TheSun", per la Brexit, afferma: "Solo così torneremo potenti".

Tutte le notizie