Data: 26/06/2016 11:40:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - In tema di locazioni di immobili ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione che abbia ad oggetto non gi� l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79, primo comma, della stessa legge, e il conduttore pu� chiedere la restituzione, entro sei mesi dalla riconsegna dell'immobile, di quanto versato in eccesso.

Questo � quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza 13011/2016 (qui sotto allegata).
La vicenda origina dalla domanda proposta dalla locatrice di un immobile ad uso ufficio, volta ad ottenere lo sfratto per morosit� nel pagamento di canoni (relativi agli ultimi sei mesi del 2008 e a due mesi del 2009), la risoluzione per grave inadempimento e la conseguente condanna al pagamento del relativo importo. La domanda � accolta in primo grado e confermata dalla Corte d'Appello, mentre il contratto viene dichiarato risolto e la conduttrice condannata al rilascio e al pagamento dei canoni richiesti.

Ciononostante, la conduttrice lamenta, in sede di legittimit�, la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., sostenendo che la Corte territoriale aveva sbagliato nel considerare nuova in appello, e gi� nuova in primo grado per essere stata proposta con le note conclusive, la domanda proposta dalla convenuta riguardante la declaratoria di inefficacia dell'aumento del canone effettuato unilateralmente dalla locatrice nel corso del rapporto. Questo, in violazione dell'art. 32, l. n. 392 del 1978, sarebbe stato anche ben superiore agli adeguamenti Istat.

Doglianza che la Corte ritiene fondata.
I giudici precisano che le argomentazioni volte a sostenere la prospettazione della illegittimit� dell'aumento del canone gi� in primo grado al fine di negare carattere di novit� al motivo di appello, diventano irrilevanti alla luce della decisione delle Sezioni Unite n. 26243 del 2014.
Secondo quanto stabilito dal Collegio, infatti, la domanda di accertamento della nullit� di un negozio proposta per la prima volta in appello � inammissibile ex art. 345, primo comma, cod. proc. civ., salva la possibilit� per il giudice del gravame (obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullit�, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell'art. 101, secondo comma, cod. proc. civ.) di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullit� legittimamente formulata dall'appellante, giusto il secondo comma del citato art. 345, principio che opera anche riguardo alle controversie in materia di locazione.

Nel caso di specie si verte proprio in un'ipotesi di nullit� del negozio, posto che secondo  la giurisprudenza consolidata della Corte di legittimit�, in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente ad oggetto non gi� l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79, primo comma, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone pi� elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti.

Tale nullit� opera anche per le pattuizioni che intervengono nel corso del rapporto: infatti, il diritto a non erogare somme in misura eccedente il canone legalmente dovuto sorge al momento della conclusione del contrattopersiste durante tutto il corso del rapporto, e pu� essere fatto valere, in virt� di espressa disposizione legislativa, dopo la riconsegna dell'immobile locato, entro il termine di decadenza di sei mesi. 

Pertanto, il primo motivo di ricorso va accolto e consegue l'assorbimento del secondo motivo che era stato avanzato dalla ricorrente.

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