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Data: 29/06/2016 18:11:00 - Autore: Valeria Zeppilli di Valeria Zeppilli – Per provare a pagare di meno la parcella dell'avvocato, non è sufficiente che questi si sia dimostrato disposto a praticare lo "sconto" impegnandosi via e-mail. Con un'ordinanza del 27 giugno 2016, infatti, l'undicesima sezione civile del Tribunale di Roma ha chiarito che il messaggio di posta elettronica ordinaria non certificata non può assumere valore di patto scritto intervenuto tra le parti. Il requisito della forma scritta, infatti, nel mondo virtuale necessita che il documento informatico sia firmato mediante firma elettronica, idonea a rendere indubitabile la paternità dello stesso. In realtà, l'orientamento sposato dal giudice capitolino non è quello assolutamente prevalente in giurisprudenza: ad esso se ne affianca un altro, seppur minoritario, che riconosce l'idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta anche ai documenti informatici sottoscritti con firma elettronica definita "leggera" o "debole", attribuendo rilevanza al fatto che comunque, per inviare un messaggio di posta elettronica comune, il mittente deve compiere una preliminare operazione di validazione autenticandosi sul web con le proprie credenziali. Sulla base di tale posizione l'e-mail dovrebbe essere considerata utilizzabile in tutti i contratti a forma libera. Tornando al caso di specie, per il Tribunale di Roma occorre mantenere un profilo più rigido, dato che la firma elettronica leggera riesce solo ad individuare il soggetto che può usufruire di un determinato servizio ma non può di certo permettere di considerare sottoscritto un documento informatico e attestata la sua paternità. Di conseguenza, il messaggio di posta elettronica con il quale l'avvocato si era dimostrato disponibile a veder ridotto il proprio compenso non ha alcuna efficacia probatoria: le sue spettanze vanno computate tenendo conto dei parametri forensi. |
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