Data: 30/06/2016 18:40:00 - Autore: Gabriella Lax

di Gabriella Lax - Ogni patto che stabilisce un compenso non equo o ridotto per l'avvocato dovrà essere nullo. E' stata la deputata Camilla Sgambato, lo scorso aprile, a presentare il disegno di legge che prevede per gli avvocati il diritto all'equo compenso

Per conoscere più da vicino gli obiettivi della proposta abbiamo sentito proprio la parlamentare.

Da quale ratio discende il disegno di legge sull'equo compenso da lei presentato?

"Il compenso dell'avvocato è regolato dal codice civile all'art. 2233, articolo che si preoccupa di determinare i compensi dei professionisti, legandoli in qualche modo al parere dell'associazione professionale cui gli stessi appartengono, quando non sono le tariffe o gli usi, o il giudice stesso a determinarli. Il D.M. 55/2014 parla di parametri e non di tariffe, abolite dal cd Decreto Bersani, D.L. 223 convertito in L.248/2006, e i parametri hanno valore solo nell'ipotesi di liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale e non nei casi di compensi pattuiti tra le parti, per il valore preminente attribuito all'autonomia privata. Tenuto conto che al secondo comma, l'art. 2233 c.c. recita che "in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione", la ratio del DDL discende dalla necessità di sancire la nullità di quei patti che palesino una sproporzione del compenso rispetto all'opera prestata, stabilendo un criterio di valutazione della sproporzione del compenso alla prestazione svolta, utilizzando i parametri di cui al DM 55/14. Infatti, a seguito dell'abolizione dei minimi tariffari, numerosi sono stati gli "attentati" alla dignità del professionista, obbligato alla stipula di convenzioni da clienti con astratta capacità di imporre condizioni di contratto per prestazioni professionali a carattere fiduciario, spesso indecorose". 

A quali nuove esigenze risponderebbe?

Risponde all'esigenza di tutela di una prestazione professionale il cui compenso non sia soggetto in assoluto alla logica del massimo ribasso; ed inoltre di consentire alla categoria di far fronte alla crisi economica che ha determinato un depauperamento dei redditi degli avvocati superiore a quello delle altre categorie professionali, con conseguente ricaduta sulla funzione di garante da questi svolta. E' mio convincimento, infatti, che la professione forense, affinché possa adempiere alla sua funzione sociale di garante dell'eguaglianza sostanziale delle parti nelle relazioni sociali, necessita di un quadro normativo che tuteli la dignità dell'avvocato. Dignità che passa anche attraverso un equo e decoroso compenso, come sancito dall'art. 2233 c.c. 

Anche il Cnf si è mosso nella stessa direzione del ddl, in particolare intervenendo sulla questione relativa ad Equitalia e alle convenzioni capestro...

Il DDL ha accolto le istanze dell'avvocatura, come rappresentate dall'Organismo Unitario dell'Avvocatura, che è l'organo deputato a dare attuazione alle mozioni approvate dal Congresso dell'Avvocatura. La proposta di modifica dell'art. 2233 c.c. è stata oggetto, infatti, proprio di una mozione approvata al congresso di Venezia del 2014. Su questo solco si è mosso anche il CNF per stigmatizzare le convenzioni capestro, ed in particolare quella proposta da Equitalia. 

Com'è possibile che un'antica e nobile professione come quella dell'avvocato possa registrare oggi "compensi da fame"?

Intanto, il numero degli avvocati, che in Italia sono 230.000 e uno squilibrio di mercato, con l'offerta che supera di gran lunga la domanda, che genera una concorrenza selvaggia. Ed in questo contesto, la mancanza di una disciplina, che, nel rispetto della libertà e dell'indipendenza del professionista avvocato, sia volta ad impedire che si integri abuso del diritto e /o di dipendenza economica a danno dell'avvocato, parte debole del rapporto contrattuale con imprese/enti economicamente forti, in ragione di un preteso rapporto fiduciario.


Qui, un approfondimento sulla proposta e il testo del disegno di legge



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