Data: 02/07/2016 09:00:00 - Autore: Laura Bazzan
Avv. Laura Bazzan - La pronuncia di addebito a carico di un coniuge per la violazione dei doveri reciproci di cui all'art. 143 c.c. (fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione, coabitazione, contribuzione) comporta la perdita del diritto all'assegno di mantenimento e dei diritti successori. Disposta su espressa domanda di parte, la declaratoria di addebitabilità è subordinata all'accertamento della sussistenza del nesso causale tra la violazione dei doveri e degli obblighi nascenti dal matrimonio e l'intollerabilità della convivenza o il pregiudizio all'educazione della prole, di talché va escluso ogniqualvolta "la violazione dei doveri che l'art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi sia avvenuta quando era già maturata una situazione di crisi del vincolo coniugale, o per effetto di essa" (ex multis, Cass. n. 8862/12). 
Di seguito l'elenco delle cause di addebito più frequenti:

Infedeltà

In presenza di una relazione extraconiugale, l'addebito può essere pronunciato non solo in ipotesi di adulterio conclamato, come il caso del marito che si vanti di avere un'amante dinanzi agli amici di famiglia (cfr. Cass. 21245/2010), ma anche quando "in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, generi plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzia in un adulterio, comporta comunque offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge" (Cass. n. 6834/1998). L'addebito, per contro, non scatta nel caso in cui i contatti con terzi estranei alla coppia non siano connotati da reciproco coinvolgimento sentimentale ma siano limitati a semplici scambi interpersonali di natura platonica, seppure per mezzo di contatti telefonici o via internet (cfr. Cass. n. 8929/2013). Sulla base della considerazione che per giustificare l'addebito il ménage coniugale non deve essere limitato al piano meramente formale (cfr, Cass. n. 21245/2010), la Cassazione ha negato l'accoglimento della domanda promossa dalla moglie il cui marito aveva convissuto con un'altra donna in costanza di matrimonio, poiché nel frangente versava in una situazione di separazione di fatto dalla consorte (cfr. Cass. n. 8052/2011).

Mancanza di rapporti affettivi e intesa sessuale

Affermando che "il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge – poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner – configura e integra violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall'articolo 143 cod. civ., che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale" (Cass. n. 6276/2005), la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto il mancato soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali tanto grave da sfuggire al giudizio comparativo delle condotte dei coniugi. In una singolare pronuncia, la giurisprudenza di merito ha accolto la domanda di addebito promossa dalla moglie, sottoposta a condotte vessatorie ed umilianti da parte del marito, in conseguenza della volontà di interrompere le pratiche di scambio di coppia e di amori di gruppo impostele da quest'ultimo, ancorché per qualche tempo da ella stessa accettate (cfr. Trib. Prato, 02.12.2008).

Maltrattamenti, violenza fisica e psichica

Stante l'evidente gravità del comportamenti violenti e dei maltrattamenti, che non possono mai ritenersi giustificati neppure se provocati dall'altro coniuge, viene escluso il raffronto tra le condotte dei coniugi. "Infatti tali gravi condotte lesive, traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'integrità e l'incolumità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner, sono insuscettibili di essere giustificate come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere" (Cass. n. 8928/2012). Più in particolare, l'addebito può essere pronunciato anche se risulta provato un solo episodio di percosse, "trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l'equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona" (Cass. n. 817/ 2011).  

Figli

Nascondere al coniuge la propria eventualità incapacità di procreare giustifica l'addebito in capo al coniuge sterile o impotente in quanto costituisce lesione del diritto fondamentale dell'altro coniuge di realizzarsi nella famiglia e nella società anche come genitore (cfr. Cass. n. 6697/2009). Per contro, la giurisprudenza di legittimità ha negato l'addebito della separazione al coniuge fedifrago quando l'altro coniuge era contrario ad avere figli, ritenendo che la reazione extraconiugale intrapresa dal primo fosse proporzionata all'omissione dei doveri coniugali da parte del secondo (cfr. Cass. n. 16089/2012).

Abbandono del tetto coniugale

Il coniuge che lasci la residenza familiare senza il consenso dell'altro coniuge e rifiuti di farvi ritorno pone in essere un comportamento contrario ai doveri matrimoniali. Tuttavia, tale condotta non costituisce causa di addebito in presenza di giusta causa come, per esempio, quando sia determinata dalla "mancanza di una appagante e serena intesa sessuale" (Cass. n. 8773/2012) o dai "frequenti litigi domestici della moglie con la suocera convivente" (Cass. n. 4540/2011). 

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