Data: 20/07/2016 12:00:00 - Autore: Avv. Emanuela Foligno

Avv. Emanuela Foligno - Il primo intervento sull'argomento della Suprema Corte conferma l'interpretazione dell'art. 44, comma 1, lettera d) della Legge sulle adozioni e riconosce le adozioni nelle coppie dello stesso sesso.

E' necessaria un po' di chiarezza.

Nel nostro Paese non esiste una normativa che prevede l'adozione del configlio, ovvero l'adozione in casi particolari (appunto, step child adoption), riferita alle adozioni delle coppie dello stesso sesso. Come noto, infatti, nel progetto della legge Cirinnà, dopo aspri scontri mediatici e politici, il legislatore ha scelto di non prendere posizione sulle adozioni in casi particolari, quindi, continua ad applicarsi la norma già esistente che è la legge sulle adozioni del 1983.

Tale lacuna normativa è senz'altro singolare considerando che le coppie dello stesso sesso sono state, appunto, legittimate a famiglia con la legge Cirinnà.

La norma di riferimento per l'adozione in casi particolari, come detto, è la Legge 184/1983, la quale, agli artt. 44-55 riguarda alcune ipotesi particolari tassativamente previste al comma uno dell'art. 44.

L'articolo 44 prevede che i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni previste nell'art. 7 comma 1 (minori dichiarati in stato di adottabilità) nei seguenti casi:

a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

b) dal coniuge, nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; C) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3 , comma 1, della legge 5 febbraio 1992 n. 104 (stato di handicap); D) quando vi sia constatata l'impossibilità di affidamento preadottivo.

L'intervento degli Ermellini è mirato alla interpretazione del punto D dell'art. 44 sopra riportato e alla confutazione della tesi della sussistenza aprioristica di un conflitto di interessi tra il minore e la madre.

Nella questione esaminata il punto nevralgico era stabilire se nell'ambito di un rapporto di convivenza di coppia dello stesso sesso, la domanda proposta da uno dei due partner per l'adozione del figlio dell'altro, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184/1983, determinasse ex se un conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra il minore e, in questo caso, la madre legale.

Infatti, la Procura (che ha impugnato dinnanzi alla Cassazione la sentenza della Corte d'Appello di Roma) evidenziava la potenzialità di tale conflitto sulla scorta della relazione sentimentale tra la madre legale e la madre adottante e richiedeva che il minore fosse difeso in giudizio da un Curatore speciale.

La Suprema Corte ha escluso che l'adozione nell'ambito di una coppia omosessuale determini a priori un conflitto di interessi fra il minore e il genitore biologico, e che l'esistenza di tale eventuale conflitto deve essere accertata in concreto dal Giudice.

Spiega la Corte che il procedimento di adozione in casi particolari è finalizzato all'ottenimento di un riconoscimento di status giuridico e affettivo che deve essere concesso, previo un rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all'interesse del minore, qualora la relazione affettiva in essere con il minore sia stabile, continuativa e pregna dei doveri di cura, educazione e assistenza incombenti sui genitori.

Non si può ritenere che la relazione tra persone dello stesso sesso sia potenzialmente dannosa e in contrasto con l'interesse del minore, poiché un ragionamento di tal fatta è di natura discriminatoria, conseguentemente deve escludersi la configurabilità generalizzata di un conflitto d'interessi.

La sentenza oggetto di esame affronta, nella seconda parte, l'interpretazione della lettera D dell'art. 44 legge adozione, giungendo ad affermare che la constatata impossibilità di affidamento preadottivo deve essere intesa anche in senso giuridico e non solo fattuale. Sul punto la procura generale aveva, invece, optato per la tesi restrittiva discorrendo di impossibilità di fatto.

Ammettono, i giudici di legittimità, che in passato tale norma sia stata applicata in luce restrittiva, ma col passare del tempo, anche a seguito di importanti interventi della Corte Costituzionale, tale orientamento è andato affievolendosi.

Secondo la Cassazione, dunque, è auspicabile una interpretazione più estensiva, che consenta di realizzare l'interesse del minore, conformemente anche alla ratio della norma in esame che è mirata a favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e le persone che già si prendono cura di lui stabilmente.

Non manca, infine, la corte di visionare gli orientamenti della Corte Europea che ha già affrontato problematiche inerenti la genitorialità omosessuale.

In definitiva, il filo conduttore di questa pregevole e significativa sentenza è il benessere del minore che deve essere garantito, ad ogni coppia, comprese quelle dello stesso sesso, e scevro di discriminazioni e valutazioni generalizzate.


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