Data: 16/07/2016 12:00:00 - Autore: Laura Bazzan
Avv. Laura Bazzan - Compiutamente regolamentato o semplicemente tollerato, il commercio del proprio corpo mediante il compimento di atti sessuali in cambio del corrispettivo di una somma di denaro o di altra utilit� economica pu� essere considerato attivit� produttiva di reddito tassabile?

La situazione in Europa

La configurabilit� della prostituzione quale "prestazione di servizi retribuita" � stata avallata dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea nella sentenza n. 268 del 20.11.2001, causa C-268/99, nella quale, recepito il costante orientamento giurisprudenziale che qualifica attivit� economica ai sensi dell'art. 2 CE (ora art. 3 TUE e art. 119 TFUE) ogni prestazione di servizi retribuita purch� reale ed effettiva e non tale presentarsi come marginale ed accessoria, la corte di Lussemburgo ha ritenuto prerogativa di ciascun giudice nazionale "accertare in ciascun caso, alla luce degli elementi di prova che gli sono forniti, se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia svolta come lavoro autonomo, ossia: senza alcun vincolo di subordinazione per quanto riguarda la scelta di tale attivit�, le condizioni di lavoro e retributive, sotto la propria responsabilit�, e a fronte di una retribuzione che gli sia pagata integralmente e direttamente".
La tassazione del reddito derivante da prestazioni di natura sessuale � espressamente disciplinata in taluni Stati europei ove, in conformit� al principi di uguaglianza e proporzionalit�, i soggetti esercenti il meretricio sono tenuti a corrispondere all'erario i tributi sulla base del reddito imponibile prodotto. � il caso degli Stati membri in cui vige il modello cd. regolamentarista, che prevede regolamenti di natura amministrativa per l'esercizio della prostituzione, la delimitazione delle aree o dei locali in cui pu� essere praticata l'attivit� e la tenuta di apposti registri con l'indicazione dei nominativi delle esercenti la professione. La prostituzione, pertanto, lungi dall'essere considerata attivit� illecita, viene attualmente disciplinata e tassata al pari di qualsiasi altra attivit� in Grecia, Ungheria, Paesi Bassi, Austria, Germania e Lettonia ove le sex workers hanno diritti e doveri analoghi ai comuni prestatori di lavoro, con possibilit� di accesso alla previdenza sociale e di riunione in sindacati. Lo stesso, all'interno dei confini europei ma al di fuori di quelli dell'Unione, accade anche in Svizzera.

La situazione in Italia

L'Italia ha adottato nei confronti del fenomeno prostituzione un modello cd. abolizionista che consiste nel considerare la prostituzione fatto non penalmente rilevante, ma sfavorendola indirettamente il attraverso la criminalizzazione di attivit� collaterali, quali sfruttamento, induzione e favoreggiamento, senza regolamentarne ulteriori aspetti.
A partire dalla sentenza n. 20528/2010, la giurisprudenza di legittimit� ha stabilito la soggettivit� tributaria passiva dell'attivit� di prostituzione "dal momento che pur essendo una attivit� discutibile sul piano morale, non pu� essere certamente ritenuta illecita". Alla medesima soluzione � pervenuta anche la sentenza n. 10578/2011 che, muovendo dalla considerazione che la prostituzione costituisca una prestazione di servizi retribuita secondo quanto espresso nella sentenza della Corte di Giustizia n. 268/2001, ha concluso per l'assoggettabilit� dei redditi da essa derivanti non solo ai fini Irpef, ma anche Irap e Iva, "quando sia autonomamente svolta dal prestatore, con carattere di abitualit�: seppur contraria al buon costume, in quanto avvertita dalla generalit� delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo, l'attivit� predetta non costituisce reato, e consiste, appunto, in una prestazione di servizio verso corrispettivo, inquadrabile nell'ampia previsione contenuta nel secondo periodo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 1". Nell'ordinanza n. 18030/2013, inoltre, la Corte di Cassazione ha ricordato come "i comuni principi in tema di accertamento dei redditi attraverso i dati bancari si applicano anche quando il reddito da assoggettare a tassazione costituisca provento di fatti, atti o attivit� qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo e che, in coerenza, il reddito derivante dall'esercizio della prostituzione, in base al generale principio della tassabilit� dei redditi per il fatto stesso della loro sussistenza, introdotto dall'art. 36 comma 34-bis del DL n. 223/2006, � sussumibile sotto l'art. 6 lett. f) del Tuir e soggetto ad imposizione diretta".
Com'� noto, l'art. 6 c. 1 TUIR enumera le categorie entro cui classificare i redditi in: a) redditi fondiari; b) redditi di capitale; c) redditi di lavoro dipendente; d) redditi di lavoro autonomo; e) redditi di impresa; f) redditi diversi. Tale disposizione deve essere letta in combinato disposto con l'art. 14 c. 4 della L. n. 537/1993 - che ricomprende nelle predette categorie "i proventi derivanti da fatti, atti o attivit� qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non gi� sottoposti a sequestro o confisca penale" se in essi classificabili, e impone di determinare i relativi redditi secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria � e l'art. 36 c. 34-bis della L. n. 248/2006 che ritiene tali proventi illeciti "redditi diversi" ancorch� non classificabili nelle predette categorie. Curioso � notare come, tanto per coloro che ritengono i redditi da prostituzione proventi civilisticamente illeciti per contrariet� al buon costume, quanto per coloro di contrario avviso, la tassazione del meretricio sia comunque ammessa, vuoi a titolo di redditi da lavoro autonomo, in caso di attivit� abituale, vuoi a titolo di redditi diversi, sempre che l'attivit� di prostituzione sia volontaria (per redditi derivanti da sfruttamento della prostituzione, trattandosi di fattispecie penalmente rilevante, � sempre prevista tassazione in assenza di provvedimenti ablativi).
Per escluderne la tassazione, si � tentato da pi� parti di sostenere che i proventi derivanti dall'attivit� di prostituzione siano somme conseguite a titolo di risarcimento del danno provocato dalla lesione della dignit� della persona di chi eserciti il meretricio, secondo un risalente filone inaugurato dalla giurisprudenza di legittimit� con la sentenza n. 4927/1986, nella quale la Cassazione si era cos� espressa: "la prostituzione � attivit� contraria al buon costume, in quanto avvertita dalla generalit� delle persone come violatrice di quella morale corrente che rifiuta, sulla scorta delle norme etiche che rappresentano il patrimonio della civilt� attuale, il commercio per danaro che una donna faccia del proprio corpo [�] il guadagno conseguito dalla prostituta a seguito della sua attivit� non pu� considerarsi reddito derivante da lavoro autonomo o dipendente [�] piuttosto, � una forma di risarcimento del danno sui generis a causa della lesione della integrit� della dignit� di chi subisce l'affronto della vendita di s�" (conf. Cass. n. 19078/2005, 15984/2002, 13180/2000). Si tratta, in particolare, dell'impostazione recentemente seguita da una contribuente destinataria di un avviso di accertamento in considerazione dell'incremento patrimoniale rappresentato dall'acquisto di beni immobili durante periodi di imposta in cui non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi. La donna, pi� precisamente, affermava la non tassabilit� dei proventi derivanti dall'attivit� di prostituzione (ex art. 6 TUIR) quali proventi da risarcimento del danno, al contempo rilevava l'impossibilit� di provare il minor reddito percepito rispetto a quello accertato data la mancata tenuta di contabilit�, con conseguente violazione delle norme costituzionali e, infine, invocava l'illegittimit� delle sanzioni per omessa dichiarazione, in mancanza di specifica disposizione che preveda un regime fiscale per l'attivit� di prostituzione. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha perso la propria occasione di pronunciarsi con chiarezza sul punto dichiarando il ricorso inammissibile per ragioni meramente formali (cfr. Cass. civ. n. 7206/2016).

Le proposte per il futuro

Solo a voler considerare gli ultimi tre anni, sono stati quasi una ventina i disegni di legge tesi a regolamentare la prostituzione. Da ultimo, la proposta di legge n. 3890 a firma della deputata Bini, presentata alla Camera in questi giorni, contiene una modifica all'art. 3 della L. n. 75/1958, cd. legge Merlin, volta ad introdurre nell'ordinamento una nuova fattispecie penale, quella dell'acquisto di servizi sessuali, che prevede per chi si avvale delle prestazioni sessuali di soggetti che esercitano la prostituzione una multa da 2.500 a 10.000 euro, salvo che la condotta non costituisca pi� grave reato, e, in caso di reiterazione, la reclusione fino a un anno e la multa da 2.500 a 10.000 euro, ferma la possibilit� di sostituire la pena con quella del lavoro di pubblica utilit� su richiesta del condannato.
Tale proposta si ispira al cd. modello nordico, vigente in Svezia, Norvegia, Islanda e Irlanda del Nord, che punisce il cliente e non gi� l'esercente il meretricio sul presupposto che tale attivit� costituisca sempre ipotesi di violenza dell'uomo nei confronti della donna; invero, secondo quanto espresso nella relazione che la accompagna, "il cliente [�] con la sua domanda di prestazioni sessuali a pagamento, partecipa allo sfruttamento e alla violazione della dignit� della persona ridotta a merce".
Il medesimo modello, peraltro, si pone in linea con la proposta di risoluzione del Parlamento europeo 2013/2013 (INI) su sfruttamento sessuale e prostituzione e sulle loro conseguenze per la parit� di genere, formulata dalla Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere, la quale al punto n. 32 "ritiene che il modo pi� efficace per combattere la tratta di donne e ragazze minorenni a fini di sfruttamento sessuale e per rafforzare la parit� di genere segua il modello attuato in Svezia, Islanda e Norvegia (il cosiddetto modello nordico), e attualmente in corso di esame in diversi paesi europei, dove il reato � costituito dall'acquisto di servizi sessuali e non dai servizi resi da chi si prostituisce".
Una siffatta proposta di legge, pertanto, si rif� ad un modello cd. neo-proibizionista nei confronti della prostituzione, che punendo l'acquisto ma non la vendita di prestazioni sessuali non ne regolamenta in alcun modo l'esercizio sulla scorta che "nei Paesi in cui la prostituzione � regolamentata, il numero di prostitute pro capite � maggiore rispetto agli altri Paesi. Numerosi studi internazionali dimostrano che la legalizzazione porta a un aumento della domanda e dunque a un aumento della prostituzione. Si � visto, infatti, che la legalizzazione � associata a una cultura in cui la prostituzione e la coercizione sessuale sono considerate normali, in cui il corpo delle donne viene mercificato. Gli studi dimostrano anche che un aumento della domanda di prostituzione comporta un aumento della tratta internazionale di donne e di minori stranieri. Inoltre, si � constatato che tale regolamentazione non ha portato alle entrate fiscali sperate: da un lato perch� le persone non vogliono essere associate alla prostituzione, per cui non pagano le tasse, dall'altro perch�, anche laddove � regolamentato, il fenomeno della prostituzione rimane in gran parte gestito dalla criminalit� organizzata, la quale evade le tasse".

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