|
Data: 19/07/2016 16:30:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Va condannato per lite temeraria il cliente che propone contro il suo difensore un'azione di responsabilità professionale manifestamente infondata: questa, infatti, essendo di pubblico dominio, è idonea a gettare discredito sul professionista, ad esempio nel Foro in cui egli opera e nei confronti del personale giudiziario e dei colleghi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 14644/2016 (qui sotto allegata) che ha confermato l'accoglimento della domanda riconvenzionale di un avvocato contro il suo cliente per danno all'immagine, condannando quest'ultimo al risarcimento danni. Inizialmente, il cliente aveva convenuto il legale chiedendone al condanna al risarcimento del danno per responsabilità professionale, conseguente alla mancata reiterazione, da parte del professionista, della richiesta di costituzione di parte civile in un procedimento penale dinanzi alla Pretura, costituzione che era stata dichiarata inammissibile. Tuttavia, in sede d'appello la domanda riconvenzionale ex art. 96 c.p.c. primo comma, proposta dall'avvocato per ottenere il risarcimento del danno all'immagine, veniva accolta, mentre quella del cliente rigettata come era avvenuto in primo grado: la Corte territoriale, concordando con il Tribunale, aveva escluso la sussistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e i danni che sarebbero asseritamente derivati alla parte lesa dalla impossibilità di agire, in sede penale, per il loro risarcimento stante la possibilità, per la parte lesa dal reato, di ottenere il medesimo risultato attraverso l'esperimento dell'azione risarcitoria dinanzi al giudice civile. Ritenendo l'azione proposta dal cliente non solo temeraria, ma anche foriera di danni per il professionista, accoglieva invece la riconvenzionale. La decisione trova conferma anche innanzi alla Corte di legittimità, con un nuovo rigetto della domanda del cliente: affinché il cliente ottenga la condanna del legale per responsabilità professionale, spiegano gli Ermellini, è necessario che sussista un pregiudizio concretamente subito dal patrocinato affinché dall'errore del professionista consegua l'obbligo di risarcire il danno al proprio assistito. La motivazione della Corte di merito, infatti, è incentrata principalmente sulla mancanza di ogni pregiudizio in capo al cliente, perché l'inammissibilità della costituzione di parte civile non gli impediva in alcun modo di introdurre un autonomo giudizio civile ed inoltre perché la definitiva assoluzione dell'imputato escludeva la configurabilità di un danno correlato alla responsabilità penale di questi. Diversa è la posizione dell'avvocato che ha subito, invece, un discredito professionale a causa della proposizione di un'azione risarcitoria per responsabilità professionale manifestamente infondata, quanto meno per la conoscibilità di essa nel suo ambito professionale, che è quello del Foro, dei giudici e del personale amministrativo con i quali egli si trova ad operare abitualmente, e che giustifica una condanna ex art. 96 c.p.c., primo comma. |
|