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Data: 20/07/2016 17:30:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Il coniuge può esperire azione revocatoria per la tutela di un credito litigioso, vantato in fase di separazione, poichè tale azione può essere avanzata non solo per tutelare un credito certo, liquido ed esigibile, ma, in coerenza con la sua funzione di conservazione dell'integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 14649/2016 (qui sotto allegata). Gli Ermellini hanno analizzato la vicenda di una donna che aveva esperito azione revocatoria ordinaria contro il coniuge e gli aventi causa da quest'ultimo, rispettivamente padre e sorella: il coniuge aveva posto in essere atti di compravendita, vendendo alla sorella la quota del 50% di un'unità immobiliare oggetto di comunione ordinaria e al padre un motociclo e una autovettura. Tali atti, secondo la donna, avevano recato pregiudizio alle sue ragioni creditorie, avendo l'attrice avviato processo per la separazione personale giudiziale e vantando nei confronti del marito crediti per più titoli. La domanda viene accolta dal Tribunale di Milano, limitatamente alla vendita della quota immobiliare alla sorella, decisione avvalorata dalla Corte d'Appello di Milano che osservava quindi, che l'azione revocatoria poteva ben essere proposta anche a sostegno di crediti litigiosi, accertati o da accertarsi in altra sede e reputava sufficientemente provato il requisito soggettivo in capo al terzo acquirente proprio in ragione del legame di parentela tra il debitore e il suo avente causa, dalla sproporzione tra il prezzo di vendita e il valore di mercato dell'immobile, nonché dalla trasformazione della quota di proprietà immobiliare del debitore in denaro A nulla vale per il marito e la di lui sorella ricorrere in Cassazione: per gli Ermellini, infatti, il loro ricorso va respinto in toto in quanto le censure dei ricorrenti non scalfiscono la decisione assunta dalla Corte territoriale che, sulla scorta dell'esame delle risultanze probatorie acquisite, ha evidenziato con motivazione sufficiente e congrua la consistenza plausibile dei crediti (alimentari, da attività lavorativa e per esborsi nei confronti di istituti bancari), anche litigiosi, della moglie, nonché la obiettiva "valenza lesiva" delle ragioni creditorie della alienazione del cespite immobiliare del marito, dando così contezza della sussistenza dei presupposti oggettivi dell'azione revocatoria ordinaria esperita. È principio consolidato, precisa il Collegio, che l'azione revocatoria possa essere proposta non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile, ma, in coerenza con la sua funzione di conservazione dell'integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito. L'art. 2901 c.c., ha infatti accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, e quindi anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, appare idoneo a determinare (sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito) l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore. Sotto altro profilo, va evidenziato che a determinare l'eventus damni è sufficiente anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore, in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva. Inutile, inoltre, per il ricorrente assumere l'esistenza di altri debiti scaduti al fine di dimostrare il nesso di strumentalità tra la compravendita immobiliare oggetto di causa e la sua posizione debitoria pregressa: la Corte aggiunge che l'affermazione di principio per cui ad escludere la revocatoria di un'alienazione da lui compiuta non basta che il debitore provi l'esistenza di altro debito già scaduto, ma occorre la prova che il debitore non aveva altra possibilità per soddisfare tale debito e che quindi la alienazione da lui compiuta dipese esclusivamente da tale necessità: nel caso di specie non è stata ritenuta sussistente la prova in concreto che la vendita del marito fosse l'unico mezzo per procurarsi denaro per adempiere ai debiti scaduti. Infine, la Corte rammenta che non è necessaria la c.d. scientia fraudis, ossia la "complicità" del terzo acquirente, essendo sufficiente la sola consapevolezza (cd. scientia damni) che questi abbia di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie. Per quanto riguarda la prova della scientia damni, la dimostrazione di siffatto atteggiamento soggettivo può essere fornita anche tramite la prova per presunzioni, alla stregua di un apprezzamento devoluto al giudice di merito che rimane incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato. Tale incensurabilità è ravvisabile nella specie, poiché la Corte territoriale, con motivazione sufficiente e plausibile ha fondato l'inferenza del fatto ignoto (la scientia danni) dai fatti noti concernenti le vicende personali dei coniugi separati ("non dissimulate all'esterno"), lo stretto rapporto di parentela tra debitore alienante e terzo acquirente (sorella del primo) e la stima del valore di mercato dell'immobile alienato (non efficacemente contestata dai convenuti), da cui la sproporzione con il prezzo della vendita, ancorato al solo valore della rendita catastale. |
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