Data: 26/07/2016 17:30:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Se l'avvocato viola consapevolmente e volontariamente la disciplina della competenza funzionale e territoriale prevista dal codice di procedura civile, è giustificata la sanzione disciplinare a suo carico.
Questo è quanto stabilito dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, sentenza n. 15203/2016 (qui sotto allegata) che hanno rigettato il ricorso di un'avvocato contro la decisione, confermata dal CNF che gli comminava la sospensione di mesi tre dall'esercizio della professione forense per avere reiteratamente assunto contrariamente ai doveri di lealtà, correttezza, dignità, probità, decoro, indipendenza e autonomia del rapporto, azioni giudiziarie di accertamento della proprietà immobiliare per intervenuta usucapione, violando ed eludendo consapevolmente e volontariamente, la disciplina della competenza funzionale, come prevista dagli artt. 7, 8 e 9 cod. proc. civ., nonché, in taluni casi, anche la disciplina della competenza territoriale ex 21 cod. proc. civ. e quella sulla regolare instaurazione del contraddittorio. Ciò era avvenuto in dieci procedimenti, essendo state dichiarate estinte per prescrizione analoghe incolpazioni.
Il C.N.F. ha ritenuto errata, l'idea di fondo della linea difensiva dell'incolpato, cioè, che possa configurarsi un'assoluta discrezionalità dell'avvocato nel decidere le iniziative processuali che siano più utili agli interessi del cliente, retrocedendo, sul piano dei valori deontologici, il rispetto di canoni imposti a quell'attività nell'interesse dell'avvocatura e della collettività.
Il Consiglio ha valutato che il ricorrente confondeva grossolanamente i doveri di correttezza, dignità probità e decoro con l'affrancamento dal rispetto della legge, sul presupposto che fosse sufficiente dare al cliente l'impressione di una giustizia celere.
Lo stesso ricorrente finiva per ammettere che le iniziative giudiziarie presso un ufficio giudiziario palesemente incompetente erano affidate alla sola aspettativa che la controparte non sollevasse eccezioni di rito.
Inoltre, evidenzia il CNF, il decoro della professione richiede competenza, ostensione dell'immagine dell'avvocato, non sciatto o superficiale, bensì munito della scienza minimale, che, se scoperta, non esponga il proprio cliente ai conseguenti danni di un'improvvida iniziativa processuale.
La collettività ha bisogno, contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, di poter confidare nella figura dell'avvocato limpida sotto ogni aspetto, comprendente sia il possesso delle condizioni minime per l'esercizio della professione che il rispetto dei principi di lealtà e correttezza, ostensibili non solo nei confronti del cliente, ma in genere nei confronti della collettività.
Nessuna delle censure avanzate dal legale riesce a scalfire la decisione impugnata, posto che, precisano gli Ermellini, per la legge risulta denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Le doglianze del ricorrente, peraltro generiche, non possono, quindi, trovare ingresso, concernendo elementi che il Giudice del disciplinare, nel proprio percorso decisionale potrebbe avere diversamente valutato, ovvero non aver considerato, perché ritenuti, anche implicitamente, recessivi e/o ininfluenti, rispetto agli elementi probatori, invece, positivamente individuati, ritenuti decisivi ed utilizzati ai fini decisori.

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