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Data: 28/07/2016 19:50:00 - Autore: VV. AA. Avv. Giulia Menoni - La legge n. 76 del 20.05.2016 "Regolamentazione delle unioni civili tra persone delle stesso sesso e disciplina delle convivenze", entrata in vigore il 05.06.2016 (qui sotto allegata), ha introdotto nel nostro ordinamento due nuovi istituti, quello delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e quello delle convivenze di fatto. La nuova legge è composta da un unico articolo suddiviso in vari commi. Il nuovo articolo recita: "Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonche' agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di societa' o di lavoro subordinato". L'introduzione di questa norma si è resa necessaria per attribuire una tutela effettiva ai conviventi di fatto che collaborino in un'attività d'impresa. Si è così risolto il contrasto formatosi in dottrina e in giurisprudenza circa l'applicabilità della disciplina dell'impresa familiare di cui all'art. 230 bis c.c., alla convivenza more uxorio. Soggetti destinatariAi fini dell'applicabilità della nuova disciplina dell'impresa familiare prevista dall'articolo in commento è necessario che la convivenza "si instauri tra due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile". Per l'accertamento di una stabile convivenza dovrà risultare una coabitazione dal certificato di stato di famiglia. Oggetto della normaAl fine di godere dei diritti riconosciuti dalla norma in commento occorre che il convivente di fatto «presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente». Dalla lettura della norma, si evidenziano immediatamente le differenze rispetto alla disciplina contenuta nell'art. 230 bis. In quest'ultima disposizione, infatti, si tutela il familiare che presta in modo continuativo la propria attività lavorativa nella famiglia o nell'impresa familiare. In particolare, l'attività del familiare deve essere prestata con costanza e regolarità, senza essere necessariamente un'attività esclusiva, tanto nell'impresa quanto nella famiglia, ossia anche mediante lo svolgimento di mansioni domestiche e casalinghe, purché strumentali all'esercizio dell'attività d'impresa. Nella norma in commento, invece, si richiede che il convivente presti la propria attività professionale con carattere di stabilità. I diritti dei conviventi nell'impresa familiareAl convivente in base all'art. 230 ter c.c. è riconosciuto il diritto di partecipare agli utili e ai beni con essi acquistati, nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento. Come nell'art. 230 bis, il riconoscimento di tali diritti deve essere commisurato al lavoro prestato dal convivente nell'impresa. Analogamente a quanto disposto dall'art. 230 bis c.c., secondo il quale la normativa dell'impresa familiare non si applica ove sia configurabile un diverso rapporto, l'art. 230 ter c.c. afferma che il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato. Al convivente, al contrario di quanto previsto all'art. 230 bis c.c. per il coniuge, non spetta il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e soprattutto non può vantare diritti sui beni acquistati e sugli incrementi dell'azienda. Nessun riferimento viene fatto nella nuova norma al profilo decisionale, pertanto, il convivente non potrà prendere parte all'assunzione delle decisioni gestionali previste dall'art. 230 bis c.c. Ugualmente, non è previsto il diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda. Avv. Giulia Menoni giuliamenoni@libero.it |
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