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Data: 29/07/2016 17:00:00 - Autore: Annalisa Sassaro di Annalisa Sassaro - Con la sentenza n. 3422 del 22 febbraio 2016 (qui sotto allegata) la Suprema Corte riafferma con decisione un principio fondamentale: anche qualora il contratto collettivo stabilisca un nuovo sistema di classificazione delle mansioni dal quale emerge l'accorpamento in un'unica qualifica di profili professionali previamente inseriti in ambiti contrattuali diversi, le mansioni riconducibili alla nuova area contrattuale non sono esigibili tout court ma è necessario accertare la corrispondenza, sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo, delle nuove mansioni a quelle precedentemente svolte.
La pronuncia della Corte nasce dalla sentenza del 22 dicembre 2012 della Corte di Appello di Roma che, in riforma della pronuncia data in primo grado, ha accertato un demansionamento operato da Poste Italiane in danno di un proprio lavoratore, in quanto adibito a decorrere dal 1° aprile 1999 a "ripartire lettere e stampe; caricare e scaricare sacchi contenenti corrispondenza; trasportare manualmente carrelli e cassette di corrispondenza; svuotare sacchi contenenti corrispondenza"; La Corte d'Appello ha ritenuto violato l'art. 2103 c.c. rispetto alle mansioni precedentemente svolte dal lavoratore di "qualificata natura tecnica". Ha pertanto condannato Poste Italiane al risarcimento del danno determinato equitativamente nella misura del 40% della retribuzione mensile, moltiplicata per i 24 mesi di dequalificazione. Contro la sentenza di secondo grado Poste Italiane è ricorsa in Cassazione con 5 motivi, tra i quali rivendica la violazione e la falsa applicazione degli art.2103 e 1363 cc, anche con riferimento agli articoli 37, 41, 43, 47 e 53 del CCLN 26.11.1994 e l'accordo integrativo del 23.5.1995 al CCNL dalle cui norme emergerebbe la volontà delle parti contrattuali di superare le precedenti classificazioni attuando un accorpamento delle precedenti categoria in aree, ed attuando, all'interno di esse, piena fungibilità, rinviando per il concreto e definitivo inquadramento al successivo accordo integrativo, in base al quale il personale addetto a mansioni tecniche poteva essere chiamato a svolgere mansioni di gestione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato da Poste Italiane ormai consolidato. Infatti, la Corte partendo dalla decisione delle Sezioni Unite del 24 novembre 2006 n. 25033, ha ribadito che, anche nel caso di reinquadramento previsto dal contratto collettivo in un'unica qualifica di lavoratori precedentemente inquadrati in qualifiche distinte, permane il divieto di un'indiscriminata fungibilità di mansioni che rappresentino in maniera radicale una diversa professionalità e che non consentano una sia pure residuale utilizzazione dell'acquisita professionalità, qualora le ultime mansioni espletate non abbiano, con quelle spiegate in precedenza, affinità o analogia. Con la summenzionata sentenza delle Sezioni Unite si è infatti affermato che – sebbene la contrattazione collettiva sia "autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra esse per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica senza per questo incorrere nella sanzione di nullità del comma 2 della medesima disposizione (l'art. 2103 c.c., comma 1)" – qualora non ricorrano queste particolari esigenze, la garanzia prevista dal predetto art. 2103 c.c. opera anche tra mansioni appartenenti alla medesima qualifica prevista dalla contrattazione collettiva, dovendosi ribadire il principio di diritto che quest'ultima "deve muoversi all'interno, e quindi nel rispetto, della prescrizione posta dall'art. 2103 c.c., comma 1, che fa divieto di un'indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità, pur confluendo nella medesima declaratoria contrattuale e quindi pur essendo riconducibili alla matrice comune che connota la qualifica secondo la declaratoria contrattuale". Ne consegue che la società Poste Italiane non poteva limitarsi ad affermare semplicemente la sussistenza di un' equivalenza "convenzionale" e tout court tra le mansioni svolte in precedenza e quelle derivanti della nuova classificazione, ma doveva per contro procedere ad un'attenta valutazione della professionalità del lavoratore al fine della salvaguardia, in concreto, del livello professionale acquisito. Per i motivi appena esposti, consegue il rigetto del ricorso.
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