Data: 03/08/2016 20:50:00 - Autore: Laura Bazzan

Avv. Laura Bazzan - Con la sentenza n. 9975/2016, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di compensi dovuti agli avvocati enucleando due importanti principi. Ricorrendo avverso un decreto ingiuntivo per il pagamento dei compensi professionali emesso in favore dell'avvocato che la aveva assistita in occasione di un procedimento giudiziale, una società contestava la correttezza dello scaglione tariffario seguito dall'ingiungente per la determinazione dei compensi pretesi, lamentandone la corrispondenza al valore effettivo della controversia, e l'effettiva debenza della voce tariffaria "ricerca documenti", avendo la stessa provveduto a consegnare tutti gli incartamenti rilevanti all'avvocato.

Nel confermare la propria costante giurisprudenza, secondo cui in caso di cumulo tra domande di valore determinato e domande di valore indeterminabile la causa va complessivamente ritenuta di valore indeterminabile, la Cassazione ha avuto modo di precisare come "tale principio debba essere correttamente applicato solo nel caso in cui, tenuto conto del valore della controversia scaturente dalla domanda di carattere determinato, l'applicazione dello scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile, consenta il riconoscimento di compensi maggiori rispetto a quelli che deriverebbero facendo applicazione dello scaglione applicabile in ragione del valore determinato". In altre parole, lo scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile va applicato solo se più favorevole per il professionista rispetto all'applicazione dello scaglione previsto sulla base del valore effettivo della controversia. In caso contrario, ovvero in caso di applicazione indiscriminata del criterio di liquidazione previsto per le controversie di valore indeterminabile, si perverrebbe alla paradossale conclusione che l'attività professionale più complessa, nella quale le difese riguardano sia la domanda di valore determinato che quella di valore indeterminabile, verrebbe liquidata sulla base di criteri riduttivi rispetto a quelli previsti per la causa di valore determinato.

Con preciso riferimento alla censura mossa alla previsione tariffaria della ricerca dei documenti, la Cassazione ha escluso che questa debba essere limitata alla sola attività personale intrapresa del professionista richiamando il proprio affermato orientamento secondo cui "in tema di onorari di avvocato e procuratore la ricerca di documenti costituisce una prestazione di ordine intellettuale che non va confusa con l'attività meramente materiale mediante la quale siano messi a disposizione del professionista i documenti da questi indicati". Poiché si tratta di attività espletata tra l'attività di studio della controversa e quella relativa alla consultazione con il cliente, normalmente seguita dalla preparazione e redazione dell'atto introduttivo del giudizio, non assume alcuna rilevanza la distinzione tra documenti forniti dal cliente e documenti reperiti autonomamente da parte del professionista. Invero, "l'impegno intellettuale del professionista nello stabilire l'eventuale rilevanza di documenti in vista della redazione dell'atto processuale introduttivo del giudizio, prescinde del tutto dalle modalità attraverso le quali sia venuto in possesso dei documenti stessi".


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