Data: 17/08/2016 11:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Far pagare al proprio cliente la parcella relativa a un'attività mai svolta è truffa e il legale che la compie non può sperare che la sua pena sia mitigata dalla particolare tenuità del fatto.

La Corte di cassazione, con la sentenza numero 34887 depositata il 16 agosto 2016 (qui sotto allegata), ha infatti dato rilevanza preminente al vincolo di fiducia che unisce il legale al suo assistito: se questo è leso non c'è nulla da fare e la causa di esclusione della punibilità di cui all'articolo 131-bis del codice penale non può essere applicata, neanche se la somma per la quale è stata espletata la truffa è di ammontare minimo e neanche se l'avvocato è incensurato.

Farsi pagare per un'attività legale che non si è mai svolta, come già asserito nel caso in commento dal giudice del merito, rappresenta un'attività grave e dotata di una palese offensività penale anche in ragione del fatto che è consumata nell'esercizio della professione forense e, quindi, a danno di un soggetto che si rivolge a un professionista con fiducia.

Nel caso di specie, oltretutto, l'azione posta in essere dal legale è stata compiuta con un intenso tasso di percezione psicologica e soggettiva.

I parametri normativi delineati dall'articolo 131-bis del codice penale, invece, sono stati pensati per episodi minimali e realmente blandi, che i destinatari della sanzione penale e della collettività percepiscono come tali.

Il ricorso del legale va quindi rigettato: la condanna subita per essersi fatto pagare per una denuncia mai fatta va scontata.


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