Data: 11/09/2016 20:20:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Che il mondo dell'avvocatura sia in crisi è un fatto oramai assodato. Lo sono persino gli studi storici. Ma in particolare questa crisi, che non ha precedenti, colpisce duramente i giovani avvocati. E il problema non è legato solo alla situazione economica del paese: la totale assenza di interventi legislativi per risollevare le sorti della categoria scoraggia l'ingresso alla professione persino ai più tenaci e volenterosi.

La politica sembra si sia dimenticata della classe forense, quasi a voler considerare gli avvocati come una categoria che tutela gli altri ma che non ha bisogno di tutelare se stessa. Si è forse rimasti ancorati all'immagine dell'avvocato che un tempo era considerato un privilegiato.

Eppure le cose sono cambiate profondamente, ma nessuno, al di fuori del mondo forense, sembra se ne sia accorto.

Le iniziative da mettere in campo? Diciamo che sono tante.

Cominciamo dall'università. Alcune hanno il numero chiuso altre no. Questa diversa disciplina che regola l'ingresso nel mondo universitario ha comportato che un numero crescente di studenti si è riversato in quelle università dove il numero chiuso non c'è, come nelle facoltà di giurisprudenza.

La conseguenza è stata che il numero degli avvocati è aumentato a dismisura e che, diciamolo chiaramente, non c'è lavoro a sufficienza per tutti.

Il praticantato? Più che di praticanti, liberi di studiare e imparare il "mestiere", abbiamo a che fare con giovani spesso abbandonati a se stessi, impegnati in mansioni che nulla hanno a che fare con la professione forense. Una sorta di "prova del fuoco", in cui sputare anima e sangue senza che ciò possa garantire un'adeguata formazione e senza che possa offrire una spinta verso una crescita professionale. Diciamo che alla fine con il praticantato (così come oggi è concepito) una cosa la si impara: si impara a forgiare lo "spirito" e ad adattarlo a sopportare lo stress e le continue frustrazioni (cosa che se non altro appare oggi indispensabile per affrontare la vita professionale forense). In questo campo forse qualcosa si potrebbe fare per garantire che i giovani possano affrontare con dignità un periodo che dovrebbe essere destinato alla formazione e a maturare esperienza.

Guadagni? Un'illusione. Durante gli anni della pratica, al massimo, si può sperare in un rimborso spese. E al termine bisogna iniziare a camminare con le proprie gambe, ma si sa, il sentiero su cui si dovrebbero muovere i primi passi non è affatto un sentiero battuto. Unica magra consolazione: non sono solo gli avvocati ad essere in crisi. Ci sono anche altre professioni come quella degli architetti.

Ma ciò che non appare più tollerabile è che, a fronte di una crisi così dura che colpisce i liberi professionisti, e in modo particolare gli avvocati, si assiste a una totale indifferenza del mondo politico.

Il lavoro diminuisce sempre di più, ma non viene meno l'obbligo d'iscriversi all'albo e di pagare la tassa annuale, così come non viene meno l'obbligo d'iscrizione alla Cassa Forense accompagnato dal relativo pagamento annuale di corposi contributi previdenziali.

Non è raro sentire di giovani avvocati le cui entrate annue non superano i cinquemila euro e che si debbono cancellare dall'albo perché non riescono a far fronte agli impegni economici che sono richiesti.

A tutto questo si aggiunga che ci vogliono anche più di 10 anni per potersi affermare. E che ciò nonostante non si riesce a cogliere il frutto meritato del proprio impegno. Procedimenti sempre più farraginosi e inutilmente complicati, continue riforme che richiedono uno costante sforzo per tenersi aggiornati, cause con tempi infiniti che ritardano a dismisura il momento in cui poter chiedere il compenso per la propria attività professionale... Insomma un "mestiere" sempre più difficile in cui le grandi responsabilità che si assumono, raramente sono compensate da una adeguata soddisfazione economica e professionale.

Cicerone, se lo sapesse, si rivolterebbe nella tomba!


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