Data: 04/11/2022 14:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Clausole clawback: cosa sono

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Le clawback sono particolari clausole contrattuali che prevedono la possibilità di esigere la restituzione - totale o parziale - della parte variabile del compenso di un manager, di un dirigente o, in alcuni rari casi, di impiegati.
Per poter richiedere la restituzione del denaro elargito come premio di produttività o di altri tipi di benefit economici però deve essere stato rilevato un assunto economico aziendale errato.
In pratica, il compenso deve essere stato erogato sulla base di risultati che si sono poi rivelati non effettivi o non duraturi a causa di condotte dolose o colpose dello stesso soggetto che ha percepito il denaro o di altri soggetti della società.
Questo tipo di clausola è stata inventata e coltivata dal mondo finanziario anglosassone, ma è correntemente utilizzata anche per i contratti manageriali in altri settori, come quello bancario.

Finalità delle clawback

Il ricorso alle clausole di clawback ha la finalità infatti di impedire che le retribuzioni elargite sotto forma di premio siano eccessivamente sproporzionate rispetto all'effettivo contributo del lavoratore in azienda e garantiscono, nel contempo, che le retribuzioni premio siano effettivamente sostenibili all'interno del bilancio aziendale.

Essenzialmente, il clawback è un sistema di malus che va a controbilanciare i bonus aziendali, eliminandoli là dove non risultino meritati.

Clausole clawback in Italia

L'introduzione di queste clausole nel panorama italiano si è resa necessaria dopo le numerose crisi bancarie che si sono verificate nel nostro paese e dopo l'introduzione di norme finalizzate a consolidare il patrimonio delle varie banche italiane, riducendone le spese.

Trattasi di un tipo di clausola che da sempre attira il plauso dell'opinione pubblica, perché strettamente legata al concetto di meritocrazia.

La diffusione delle clausole clawback in Italia è stata determinata dal recepimento, ad opera della Banca d'Italia, di diversi provvedimenti europei in materia bancaria.

La Direttiva 2010/76 ha previsto regole dedicate al personale bancario per fare in modo che la remunerazione sia legata alle performance in relazione sia al settore di appartenenza che alla banca nel suo complesso. Tra le regole finalizzate ad incentivare i comportamenti virtuosi e performanti e penalizzare quelli dannosi per il settore la Direttiva ha previsto proprio l'applicazione delle clausole clawback, come correttivi da applicare a posteriori, se i presupposti che hanno condotto al riconoscimento della remunerazione premiale siano poi risultati errati o ricondotti a condotte colpose o addirittura fraudolente.

La Direttiva 2013/36 ha invece stabilito che per non far correre rischi eccessivi alle banche è necessario che le stesse fissino un rapporto massimo tra componente fissa e variabile della retribuzione.

Questa direttiva è stata recepita nell'ordinamento dalla Banca d'Italia con la circolare n. 285/2013 con lo scopo di scoraggiare politiche retributive legate al raggiungimento di risultati nel breve, piuttosto che nel lungo periodo, il cui testo ha subito, da ultimo, l'aggiornamento n. 39 del 12 luglio 2022.

Fondamento giuridico delle clawback

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Inquadrato l'ambito applicativo principe di queste clausole non ci si può esimere da un'analisi prettamente giuridica per comprendere il fondamento di questo rimedio.
Sul punto si sono sviluppate due teorie principali:

  • parte della giurisprudenza e della dottrina le inquadra nell'ambito della ripetizione dell'indebito disciplinata dall'art. 2033 c.c. il quale prevede che : "Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato" compresi frutti e interessi dal giorno del pagamento, se chi ha ricevuto il denaro era in mala fede, o dal giorno della domanda se chi ha ricevuto la somma era in buona fede. In pratica secondo questa teoria, se chi ha preso del denaro in realtà non ne aveva diritto lo deve restituire, anche se la prova della non spettanza spetta a chi la eseguito il pagamento;
  • altra parte invece riconduce queste clausole alla disciplina dell'errore, vizio della volontà che inficia il contratto e che comporta a carico di chi corrisponde la somma l'onere di dimostrare di aver corrisposto un importo superiore in virtù di un errore riconoscibile dall'altra parte.
Delle due teorie però la più convincente appare la prima sull'indebito oggettivo perché la causa che giustifica la restituzione del denaro non richiede valutazioni, ma è oggettivamente rilevabile.

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