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Data: 16/09/2016 21:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - È reato praticare il cosiddetto "tuning": alzare eccessivamente il volume dello stereo dell'auto. infatti, è comportamento idoneo ad integrare la fattispecie di cui all'art. 659 c.p. È questa la vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 38135/2016 (qui sotto allegata), che ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputato, condannato per il reato di cui all'art. 659 cod. pen. (disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone) alla pena di 150,00 € di ammenda. In sede di legittimità l'uomo censura l'impugnata sentenza in quanto la motivazione sarebbe solo apparente, basata su una ricostruzione dei fatti suggestiva ed esclusivamente fondata sulle dichiarazioni della persona offesa, dell'ispettore di polizia e del gestore del bar, accolte pedissequamente dal giudice senza sottoporre a vaglio critico. La persona offesa, evidenzia la difesa, aveva infatti interesse alla condanna dell'imputato e non sarebbe emerso che ad attivare il volume all'interno dell'auto fosse stato il reo, non visto da nessuno compiere il gesto, posto che la vettura era con le portiere aperte ed era facilmente accessibile da chiunque. La piazza, inoltre, in quel momento era gremita di giovani e vi erano parcheggiate altre autovetture da cui avrebbe potuto provenire la musica, poichè nel luogo era frequente la pratica del cosiddetto tuning e dunque era verosimile che ivi si trovassero delle persone intente a tale pratica. Per la difesa, quindi, il giudice avrebbe valutato come prova ciò che invece era una "impressione" dell'agente operante, in assenza per di più di una prova certa (una consulenza tecnica d'ufficio) che, sola, avrebbe potuto stabilire l'intensità del suono; infine, tra l'abitazione della querelante e la piazza vi erano altri fabbricati, la cui presenza avrebbe interrotto la propagazione del rumore e non sarebbe stata pertanto superata la regola dell'ogni oltre ragionevole dubbio. Tuttavia, evidenziano gli Ermellini l'impugnazione è stata rivolta con atto di appello avverso sentenza inappellabile ex art. 568, comma quinto, cod. proc. pen., essendo stata irrogata dal giudice la sola pena dell'ammenda, donde avverso la stessa era ammissibile il solo ricorso per cassazione. I motivi proposti dall'appellante, sono, tuttavia, di merito, in quanto svolgono censure che presuppongono, per la risoluzione, lo svolgimento di apprezzamenti di fatto del tutto incompatibili con la funzione devoluta alla Corte di legittimità. Tali sono, in particolare, le doglianze (non soltanto quelle relative all'espletamento di attività istruttoria), ivi incluse quelle dedotte con il primo motivo, con cui ad esempio si prospetta la censura di travisamento del fatto o di errata valutazione delle prove, tipiche di un giudizio di merito o, ancora, quella relative alla presunta estraneità del reo al fatto addebitato che, all'evidenza, richiederebbero apprezzamenti fattuali che sfuggono al sindacato di questa Corte Suprema. Dall'inammissibilità del ricorso deriva anche la condanna alle spese. In merito, leggi anche: "Radio a palla in macchina? È reato" e "Stereo a palla? E' reato anche in vacanza"
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