Data: 20/09/2016 22:40:00 - Autore: Laura Bazzan
Avv. Laura Bazzan - La prassi della partecipazione alle udienze civili, così come andata affermandosi negli ultimi tempi, appare la concreta antitesi del buon andamento della giustizia. La scansione dell'intero processo va sempre più profilandosi come l'esatta applicazione al contrario dei principi di oralità, concentrazione e immediatezza di chiovendiana memoria.

Immaginiamo un avvocato, in una mattina qualunque, in un qualunque palazzo di giustizia in Italia, nel piano dedicato alle udienze civili. Fuori dalla stanza del giudice troverà affisso un ruolo che prevede una decina di udienze per fascia oraria, dalle 9 alle 13. Questo fingendo che si tratti di un giorno fortunato in un tribunale fortunato, altrimenti niente suddivisione in fasce orarie.
Nello scenario alternativo, il destino dell'avvocato si farebbe ancora più incerto, aumentando le domande sul senso della vita e gli interrogativi di primaria importanza: riuscirò a partecipare all'altra udienza fissata in mattinata? Prenderò la multa per sosta prolungata? Sarò costretto a saltare la pausa pranzo?
Ad ogni modo, le 9 arrivano e la porta è ancora chiusa. "Che i giudici, almeno in larga parte, difettino di puntualità, non è un mistero. Anche loro ne sono convinti. Credo che la ritengano prerogativa della propria classe". Con queste parole, Giuseppe Todisco, avvocato e magistrato tributario, si è preso la briga di formalizzare in un suo piacevole scritto quello che, dal praticante di primo pelo al patrocinante in Cassazione, ogni curiale ha sempre pensato nell'alternare lo sguardo tra le lancette dell'orologio, la famigerata lista e il difensore di controparte. La sincronicità non è cosa da poco.
Il tempo passa. Nell'attesa, all'avvocato che non abbia necessità di svolgere altri incombenti si presentano ogni volta numerose alternative: scorrere sullo smartphone gli ultimi articoli delle riviste specializzate e i commenti alle ultime pronunce della Cassazione o, più semplicemente, dedicarsi all'aggiornamento sugli accadimenti della vita altrui via Facebook; ripassare gli atti di causa; lamentarsi con l'amico collega; praticare il mimetismo urbano per evitare dialoghi forzati con il proprio cliente o il collega di controparte. Il rischio di essere importunati dal proverbiale seccatore, faticando quanto Orazio nella Satira IX per liberarsene, è più elevato nei corridoi dei Tribunali che altrove. E l'intervento divino in tali ambienti non può certo darsi per scontato.
In quegli stessi ambienti, intanto, la fila aumenta. Raramente con meno di una mezz'ora di ritardo, arriva il magistrato. In un perfetto contrappasso (nel pieno rispetto della legge di Murphy), invece, se l'udienza è fissata alle 9, e per una volta l'avvocato non è presente a quell'ora, può pur stare tranquillo che quella è proprio la volta in cui l'udienza si terrà puntuale.
Tornando all'immaginario dell'avvocato che invece attende il suo turno, in una mattina come le altre, in una qualsiasi delle aule di giustizia italiane, finalmente la porta si apre… et voilà, immancabilmente, il collega appena sopraggiunto chiede di passare avanti, perché tanto ha solo un rinvio e poi deve scappare per discutere alla tal ora davanti al tal giudice. Il tempo passa. Ma il favore al collega non si nega, hodie mihi, cras tibi. L'avvocato, infatti, deve partecipare anche alle udienze di mero rinvio. Così come a quelle per il giuramento del CTU. E così come ad un'altra serie di udienze inutili.
Che poi, e queste sono considerazioni che non di rado i colleghi si scambiano mentre sono in attesa della propria udienza, che senso ha convocare appositamente il consulente in udienza quando la nomina potrebbe essergli trasmessa dalla cancelleria, e una volta ottenuto il fascicolo il CTU potrebbe presentarsi avanti al giudice a perizia ultimata? Mah, la risposta.
Che senso ha fissare udienze in base a termini di legge se di fatto l'udienza non ha utilità? Mah.
Che senso ha l'udienza di precisazione delle conclusioni a distanza di oltre un anno dalla chiusura dell'attività istruttoria, quando tutte le preclusioni sono già maturate e le conclusioni rassegnate negli atti introduttivi ovvero ex art. 183 c.p.c.? Mah.
E mentre l'avvocato si chiede tutto questo il tempo continua a passare.
La lunga marcia del processo avanza al lento passo dei rinvii e i tempi della giustizia finiscono anche per includere tutte le inutili attese lungo i corridoi.
È il momento dell'udienza, gli avvocati discutono e, poiché abbiamo finto che questo sia un giorno fortunato in un tribunale fortunato, mettiamo che il giudice stia pure ad ascoltarli.
Poiché la causa proviene da un lungo rinvio, però, non si può certo pretendere che il giudice comprenda tutto quanto viene detto nel frangente o si ricordi quanto detto alle precedenti udienze.
Che poi, ancora, che senso ha l'oralità in assenza di concentrazione ed immediatezza? Mah.
Dato che difficilmente la causa viene conclusa entro la scadenza dell'anno solare, e che già questo arco temporale comporterebbe uno sforzo mnemonico notevole per il giudice, tanto varrebbe concentrarsi esclusivamente sulle difese scritte e ridurre le udienze? No? Ancora mah. Il legislatore però non vuol fare un torto agli avvocati, che si sa, sono gran chiacchieroni. E allora via con le udienze e i rinvii.
Il tempo passa. Un'udienza di pochi minuti ha già impegnato una gran parte della mattinata dell'avvocato. Anche quando, al termine della propria udienza, l'avvocato non si è prestato ad una sostituzione al volo ha comunque quasi raggiunto l'ora sesta, ritardato gli appuntamenti e sottratto tempo allo studio delle questioni, alla redazione delle parcelle. Parcelle nelle quali non rientra il tempo perso in tribunale e il tempo libero che è necessario dedicare al lavoro per rimettersi in pari. Un ardito avvocato una volta ci ha provato. Caricare, puntare, fuoco! Il danno da perdita del tempo libero per i disservizi o carente organizzazione del sistema giustizia va risarcito ai sensi dell'art. 2059 c.c. Ma niente, il sistema ha schivato il colpo e contrattaccato statuendo che trattandosi di un diritto immaginario non può fondare alcuna obbligazione risarcitoria (cfr. Cass. n. 21725/2012).
Andando, en passant, all'introduzione del processo civile telematico, anche questa, ammettiamolo, fa perdere tempo agli avvocati, ma almeno ha (potrebbe avere) il pregio di lasciarli nella comodità del loro studio, invece che in quei corridoi dove anche se è un giorno fortunato in un tribunale fortunato, può sempre capitare che non funzioni il riscaldamento in inverno e non si possano neppure aprire le finestre in estate. E dove il famigerato seccatore, ricordiamolo, è sempre in agguato!
Il sistema però si prefigge di migliorare ma non ce la fa. È come uno studente che ha le potenzialità ma non si applica a sufficienza. E allora immaginiamo … se con il benestare di chi è parte di questo stesso sistema si considerasse quale regola generale esclusiva il principio di libertà secondo cui tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge è lecito, i giudici più d'avanguardia potrebbero interpretarla nel senso di autorizzare la partecipazione a distanza alle udienze, magari via Skype? Del resto, non manca un esempio virtuoso in tal senso, in campo penale, visto che già nel 2014 presso il Tribunale di Cremona si è tenuta la prima udienza con esame testimoniale via Skype, e un esempio positivo in campo fallimentare, visto che lo stesso legislatore ha previsto con il d.l. n. 59/2016 che le udienze possano svolgersi a distanza. Forse quel momento non è poi così lontano per gli avvocati … continuando ad immaginare un giorno fortunato in un tribunale fortunato!
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