Data: 03/09/2022 08:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Concorrenza nel reato art. 110 c.p.

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L'art. 110 c.p. disciplina il concorso di persone nel reato: "Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti."

La norma, in contrasto con la concezione monosoggettiva del reato, prevede il modello unitario del concorso in cui più soggetti agiscono per perseguire un unico obiettivo criminoso.

Come precisato dalla Cassazione n. 36941/2015 "In tema di concorso di persone nel reato, il principio della pari responsabilità dei concorrenti previsto dall'art. 110 c.p non esonera dall'individuazione dell'autore o dei coautori della condotta descritta dalla fattispecie incriminatrice, poiché l'attribuzione del fatto di reato al terzo, cui non sia ascrivibile tale condotta, presuppone una partecipazione psichica necessariamente in rapporto a uno o più autori materiali dell'illecito penale."

Partecipazione psichica

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Cosa deve intendersi poi nello specifico per "partecipazione psichica", lo ha chiarito la recente sentenza della Cassazione n. 31011/2022: "Quanto al tema del concorso di persone, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione 4 Corte di Cassazione - copia non ufficiale di esso) e tuttavia ciò non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110 cod. pen., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003)."

Cooperazione colposa art. 113 c.p.

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In linea con l'art. 110 c.p, l'art. 113 c.p., dedicato alla cooperazione colposa nel reato, dispone: "Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso. La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell'articolo 111 e nei numeri 3 e 4 dell'articolo 112".

Per comprendere la portata della norma è necessario collegare la coscienza e la volontà, presupposti del concorso, con il concetto di colpa. La natura colposa del reato infatti non esige la volontà di commettere il reato, ma la sola consapevolezza e volontà di violare le norme cautelari, condizioni psicologiche sufficienti ai fini della cooperazione colposa.

Come ribadito dalla Cassazione nella sentenza n. 50138/2016: "la cooperazione nel delitto colposo si verifica quando più persone pongono in essere una autonoma condotta, nella reciproca consapevolezza di contribuire con l'azione od omissione altrui alla produzione dell'evento non voluto. Ai fini del riconoscimento della cooperazione nel reato colposo non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta, né la conoscenza dell'identità delle persone che cooperano, ma è sufficiente la coscienza dell'altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza del coinvolgimento di altri soggetti in una determinata data attività, fermo restando che la condotta cooperativa dell'agente deve, in ogni caso, fornire un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell'evento, non voluto da parte dei soggetti tenuti al rispetto delle norme cautelari." E' noto inoltre che "cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti nella convergenza dei rispettivi contributi all'incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell'altro è condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti si è imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli.

Concorso nel reato colposo dell'equipe medica

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Un'ipotesi peculiare di concorso nel reato colposo è quello dell'equipe medica in modalità sincronica e diacronica. In questo contesto, chi deve ritenersi responsabile in caso di errore da cui derivi la morte del paziente, tenuto conto che la cura è affidata a diversi specialisti con mansioni e compiti distinti uno dall'altro?

Risponde al quesito la sentenza della Cassazione n. 27655/2022: "Quanto alla responsabilità di equipe [oltre alla cooperazione sincronica fra medici e medici e/o ausiliari che agiscono contestualmente per la cura di un paziente, in cui i contributi si integrano a vicenda ed in un unico contesto temporale in vista del conseguimento del risultato sperato, la cooperazione terapeutica può dipanarsi anche in forma diacronica, cioè attraverso atti medici successivi, affidati anche a sanitari dotati della medesima o di differenti specializzazioni: in questo secondo l'unitario percorso diagnostico o terapeutico si sviluppa attraverso una serie di attività tecnico-scientifiche di competenza di sanitari diversi, funzionalmente o temporalmente successive [...] In entrambi i casi opera, comunque il principio di affidamento quale limite in concreto all'obbligo di diligenza gravante su ogni titolare della posizione di garanzia, essendo opportuno che ogni compartecipe abbia la possibilità di concentrarsi sui compiti affidatigli, (confidando sulla professionalità degli altri, della cui condotta colposa, poi, non può essere chiamato, almeno di norma, a rispondere. Sia nel caso di cooperazione diacronica che sincronica, peraltro, in base ai tradizionali principi in tema di posizione di garanzia e di colpa, non potrà invocare il principio di affidamento, nei violazione del dovere di controllo, il sanitario, quando la condotta colposa del collega si concretizzi nella inosservanza delle leges artis, che costituiscono il bagaglio professionale di ciascun medico (e, a fortiori, qualora l'inosservanza riguardi proprio le leges artis del settore specialistico in cui anche l'agente e specializzato), con la conseguente prevedibilità e rilevabilità dell'errore altrui anche da parte di un medico non specialista nel settore, in condizioni- per tale motivo, di controllare la correttezza".

Il riparto delle responsabilità motivate dall'obiettivo comune della cura del paziente trova giustificazione pertanto nel principio dell'affidamento che coincide con i principi regolatori della cooperazione colposa e che sussiste ogni volta che il medico è a conoscenza del fatto che il caso non è riservato a lui, ma che altri prima e dopo di lui si sono occupati e si occuperanno dello stesso paziente.


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