Data: 09/10/2016 15:00:00 - Autore: Avv. Emanuela Foligno

Avv. Emanuela Foligno - Risale al 26 febbraio scorso il primo intervento sull'argomento della Suprema Corte che ha respinto l'Ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite formulata dalla quinta Sezione sul seguente quesito : " se, a seguito dell'abrogazione dell'art. 594 c.p. ad opera dell'art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, debbano essere revocate le statuizioni civili eventualmente adottate con la sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata prima dell'entrata in vigore del suddetto decreto ".

Il Primo Presidente, nel respingere l'Ordinanza di rimessione, ha osservato che non sussiste nessun contrasto giurisprudenziale, bensì un contrasto interpretativo, e che, quindi, è prematuro l'approdo alle Sezioni Unite.

Il noto intervento legislativo di depenalizzazione ha abrogato alcune disposizioni normative con contestuale esclusione dal sistema penale (c.d. fenomeno dell'abolitio criminis). Trasformati, quindi, determinati delitti in illeciti civilistici si è palesato il problema della declaratoria di improcedibilità penale sulle statuizioni civili derivanti dalle sentenze non passate in giudicato.

Pacifico che l'abrogazione di una norma punitiva in presenza di un giudicato penale provoca la revoca della sentenza di condanna dei capi penali da parte del giudice dell'esecuzione. Ma i capi civili della stessa sentenza non vengono revocati. Questo significa, in caso di costituzione di parte civile e relativa condanna al risarcimento dei danni, che la statuizione civile resta ferma.

Ed infatti si è affermato che quando un fatto costituisce un illecito civile, questo non è influenzabile da eventuali vicende, successive all'evento, riguardanti la rilevanza penale di quel fatto.

Questa regola però non può trovare applicazione se l'esclusione dal sistema penale del reato è intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna (74 e 185 c.p. e 538 c.p.p.)

In tal caso, non essendo possibile una pronunzia definitiva di condanna perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, viene meno, salvo eccezioni esplicitamente previste (artt. 576 e 578 c.p.p.), anche il primo presupposto dell'obbligazione restitutoria o risarcitoria per cui è concesso l'esercizio nel processo penale dell'azione civile, con la conseguenza che, nel giudizio di legittimità, dovrebbero essere revocate le statuizioni civili adottate con le pronunce di merito.

In definitiva, la depenalizzazione annulla ogni riconoscimento civilistico precedentemente espresso in sede penale con sentenza di merito non definitiva.

Oltre a questo nodo giuridico vi è da valutare che il legislatore in uno degli interventi (D.Lgs 7/2016) di depenalizzazione, di cui ai Decreti n. 7 e 8 del 2016, non ha operato nessun richiamo alla disciplina transitoria dei processi in corso per le abrogate ipotesi di ingiuria, falsità in scrittura privata, danneggiamento, ecc.

Il gemello D.Lgs. 8/2016, che va a regolamentare una depenalizzazione alle violazioni soggette alla sanzione della multa o dell'ammenda, contiene, invece, indicazioni precise in quanto stabilisce (art. 9) che se l'abrogazione interviene durante il primo grado di giudizio, il Giudice deve pronunziarsi ai sensi del 129 c.p.p. per declaratoria di non punibilità poiché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato e trasmettere il fascicolo per la valutazione civilistica.

Se, invece, l'abrogazione interviene dopo la sentenza di condanna, il Giudice oltre a dichiarare che il fatto non è punibile, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza inerenti agli interessi civili.

Come visto, quindi, le fattispecie di cui al D.Lgs. 7/2016 attualmente non punibili, non hanno a corredo una disciplina transitoria.

Tale sconcertante vuoto non è placato dalla Suprema Corte. Tutt'altro.

La seconda Sezione Penale (N. 14529 dell'11/04/2016) ritiene che le statuizioni civili inerenti i reati di cui al D.Lgs. 7/2016 restano inattaccabili dalle vicende del giudicato penale in virtù di una sorta di applicazione analogica delle disposizioni di cui all'art. 9 del D.Lgs. 8/2016.

In particolare viene riconosciuta alla norma di cui all'art. 9 del Decreto 8/2016 una valenza generale non riferita esclusivamente alle ipotesi del provvedimento specifico ma anche riferita alle ipotesi del provvedimento precedente, ovvero il Decreto 7/2016 perché la norma disciplina le ipotesi in cui il Giudice dell'impugnazione, prende atto della intervenuta depenalizzazione e decide sulla domanda di costituzione di parte civile.

La quinta Sezione Penale (n. 19464 del 10/05/2016), invece, sostiene che abrogato il reato oggetto del procedimento le statuizioni civilistiche risultano prive di efficacia giuridica.

In particolare è stato ritenuto che non può condividersi la tesi della lacuna involontaria del legislatore sulla disciplina transitoria del Decreto n. 7 e che, quindi, la soluzione appare quella delle generale caducazione delle statuizioni civilistiche per effetto dell'abrogazione del reato. Sarà poi onere della parte offesa promuovere azione dinnanzi al Giudice civile anche per l'irrogazione delle sanzioni pecuniarie civili.

E' del tutto singolare che uno dei due decreti legislativi, paralleli, contemporanei e monotematici, per di più, contenga l'importante vulnus che si è descritto. 

Occorrerà attendere gli esiti dell'inevitabile dibattito giuridico.

Avv. Emanuela Foligno

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