Data: 17/10/2016 09:00:00 - Autore: Laura Bazzan

Avv. Laura Bazzan - Confermando l'orientamento del CNF secondo cui "in linea di principio, l'indubbia natura afflittiva della sanzione disciplinare può indurre all'applicazione del principio generale del favor rei, in considerazione della riflessione che la retroattività della legge abrogatrice troverebbe giustificazione in una primaria esigenza di parità sostanziale, costituzionalmente garantita, pur nella consapevolezza dei costanti arresti giurisprudenziali, che più volte hanno affermato che nel procedimento disciplinare, riguardando materia di infrazioni non penali, il principio di legalità non si applica alle sanzioni disciplinari" (Cnf, sent. 18.07.2013, n. 113), la Corte di Cassazione, nell'ultimo biennio, si è espressa numerose volte sancendo il principio della retroattività dell'applicazione delle norme disciplinari contenute nel nuovo codice quando queste siano più favorevoli per l'incolpato, anche al fine di salvaguardare la certezza del diritto. Invero, "nel fissare il momento di transizione dall'operatività del vecchio a quella del nuovo codice deontologico la legge professionale sancisce esplicitamente che la successione nel tempo delle norme dell'allora vigente e di quelle dell'allora emanando nuovo codice deontologico (e delle ipotesi d'illecito e delle sanzioni da esse rispettivamente contemplate) deve essere improntata al criterio del favor rei, così prevenendo le incertezze interpretative manifestatesi in occasione di precedenti successioni di norme deontologiche" (Cass. SS. UU. n. 18395/2016).

Secondo la contraria impostazione formulata dal CNF, invece, essendo l'illecito deontologico riconducibile al genus degli illeciti amministrativi, in difetto di eadem ratio, non potrebbe trovare applicazione, in via analogica, il principio del favor rei sancito dall'art. 2 c.p., bensì quello del tempus regit actum (cfr. ex multis Cnf, sent. 16.07.2015, n. 97). Tale impostazione, tuttavia, secondo la Suprema Corte, risulterebbe superata dall'espressa previsione normativa di cui all'art. 65 c. 5 L. 247/2012, a mente del quale le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato. Infatti, "in tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato, avendo l'art. 65, comma 5, della L. 247/2012, recepito il criterio del favor rei, in luogo del criterio del tempus regit actum" (Cass. SS. UU. n. 3023/2015).

Nel caso particolare in cui sia stata precedentemente comminata la sanzione disciplinare della cancellazione dall'albo, non più prevista dal nuovo codice, ne devono cessare gli effetti, di talché l'eventuale "decisione del Consiglio nazionale forense che l'abbia confermata, respingendo la richiesta di applicazione di tale normativa di maggior favore, può essere sospesa ex art. 36, comma 7, della L. 247/2012" (Cass. SS. UU. n. 21829/2015).

Resta qualche incertezza sull'effettiva portata della disciplina transitoria con riferimento alla prescrizione. Sembra al momento prevalere la tesi dell'inapplicabilità dell'art. 65 c. 5 L. 247/2012 all'istituto, in quanto "in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, l'art. 65, c. 5, della L 247/2012, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico. Ne consegue che per l'istituto della prescrizione, la cui fonte è legale e non deontologica, resta operante il criterio generale dell'irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicché è inapplicabile lo jus superveniens introdotto con l'art. 56, comma 3, della legge n. 247 cit." (Cass. SS. UU. n. 11025/2014 e Cass. SS. UU. n. 1822/2015). La tesi dell'inapplicabilità, più precisamente, movendo dalle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 236/2011, ritiene che il principio di retroattività della lex mitior non riguardi il termine di prescrizione, ma solo la fattispecie incriminatrice e la pena (cfr. Cass. SS. UU. n. 14905/2015; Cass. SS. UU. n. 23364/2015; Cass. SS. UU. n. 23836/2015).

Per la tesi contraria, che pare attualmente confinata all'ordinanza a Sezioni Unite n. 21829 del 27.10.2015, l'art. 65 c. 5 L. 247/2012 spiegherebbe i propri effetti anche con riguardo al regime della prescrizione. La questione è senz'altro destinata ad evolversi.


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