Data: 15/10/2016 09:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Non commette diffamazione colui che invia al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati un esposto contenente dubbi o perplessità sulla correttezza professionale del legale, poichè in tal caso ricorre la causa di giustificazione prevista dall'art. 51 del codice penale esercizio di un diritto o adempimento di un dovere).

Lo ha disposto la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 42576/2016 (qui sotto allegata) annullando la sentenza con cui il Tribunale di Nola, in funzione di giudice d'appello, aveva confermato la sentenza di condanna avverso il ricorrente per il reato di diffamazione nei confronti di un avvocato.

L'imputato era ritenuto colpevole di aver offeso la reputazione del legale comunicando al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati che la richiesta da parte del professionista di onorari per una diffida allo stesso inoltrata, senza il previo rilascio di una fattura per la prestazione richiesta, costituiva a suo dire "un tentativo di truffa". In Cassazione, il ricorrente deduce la mancanza dell'elemento soggettivo del reato ascrittogli, essendo operativa la causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., non avendo avuto alcun intento di calunniare l'avvocato.

Si tratta, secondo gli Ermellini, di un motivo fondato: come già rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che invii un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale del proprio legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., ossia di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche.

Nel caso di specie, l'iniziativa dell'imputato, controparte del cliente assistito dall'avvocato, nel convincimento (erroneo) che la mancata emissione della fattura per la prestazione professionale integrasse un illecito tributario e nel dubbio anche penale, era parimenti finalizzata ad ottenere il controllo da parte dell'Organo competente di eventuali violazioni di regole deontologiche poste in essere dal legale e non voleva quindi lederne la dignità e reputazione.

La condotta dell'imputato rientra quindi nell'esercizio dei diritto di critica, non avendo l'imputato inteso divulgare a chicchessia fatti attinenti alla persona offesa oggetto delle proprie censure ma solo investire l'organo a ciò deputato della valutazione della correttezza dell'operato del legale.

Peraltro, l'organo cui l'esposto del ricorrente è stato destinato, l'Ordine degli avvocati del Circondario, ha potuto agevolmente accertare la palese infondatezza della censura sollevata, così come ha potuto valutare la mancanza di ogni rilevanza penale della condotta della persona offesa, per onor dei vero rappresentata dall'imputato solo in termini dubitativi confidando nel giudizio di un organo dotato di una competenza qualificata in materia.

Inoltre, proprio la particolare competenza dell'organo che ha ricevuto l'esposto (unico destinatario della comunicazione inviata dal ricorrente) che ha potuto verificare de plano l'insussistenza degli addebiti, esclude che sia stata lesa la dignità e la reputazione dell'avvocato. La sentenza va annullata con rinvio.

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