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Data: 13/10/2016 21:00:00 - Autore: Marina Crisafi di Marina Crisafi – I rapporti di vicinato si sa non sempre sono dei migliori, ma chi si rende protagonista di una serie di dispetti mirati e continui verso i dirimpettai, arrivando persino a staccare spesso la corrente elettrica di casa solo per ripicca, rischia una condanna per il reato di stalking. A sancirlo è la sesta sezione penale della Cassazione (con la sentenza n. 43083/2016 depositata ieri e qui sotto allegata), confermando la condanna a un anno e 8 mesi di reclusione inflitta dalla corte d'appello di Torino nei confronti di un uomo ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 612-bis c.p. (oltre che per calunnia ex art. 368 c.p.) per aver minacciato e molestato continuamente due condomini vicini, causando in loro un perdurante stato d'ansia. In particolare, l'uomo oltre alle condotte costituenti di per sé reato (come minacce e molestie) arrecava continuamente disturbo ai due dirimpettai, staccandogli repentinamente l'energia elettrica al solo scopo di fare un dispetto. Inutile per lui sostenere che i comportamenti erano semmai "suscettibili di sfociare in una vertenza di natura civilistica avente ad oggetto un diritto di proprietà in contesa" (ovvero, nella specie una servitù di passaggio), potendo quindi trovare rilevanza in una sede giuridica diversa da quella penale, o al massimo nelle diverse ipotesi di reato di cui agli artt. 612 e 393 c.p. Per gli Ermellini non è così e il ricorso va rigettato in toto. La tesi dell'imputato, infatti, postula "l'artificiosa scomposizione di una serie concatenata di condotte, alcune costituenti ex se reato, altre già costituenti reato ma non più tali, altre ancora prive di autonoma rilevanza penale ma orientate al medesimo scopo di arrecare disturbo e/o nocumento alla persona offesa". Tutte condotte che invece sono "normativamente sussumibili nella stessa figura di reato di atti persecutori secondo il criterio d'imputazione unitaria che costituisce lo specifico di tale illecito penale". "Quello di cui all'articolo 612-bis c.p. – prosegue infatti la sentenza - è reato di evento, rappresentato dal cagionare alla vittima un grave e perdurante stato d'ansia o di paura". Ed è proprio "il nesso causale che si instaura tra le singole azioni, anche prive di autonoma rilevanza penale e l'evento suddetto che consente di ricondurre le prime ad una serie unitaria normativamente individuabile quale frutto di un unico disegno, volto a provocare nella vittima quell'alterazione del suo equilibrio psichico costituente l'oggetto della tutela penale". Quanto agli scopi perseguiti dall'uomo, ossia l'affermazione di un preteso diritto riguardante una servitù di passaggio, questi, ha concluso infine la Corte, "riguardano il movente della condotta ma non il generico dolo del reato di cui all'art. 612-bis c.p.".
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