Data: 15/10/2016 16:00:00 - Autore: VV. AA.
Avv. Marco Avecone - Come è noto l'istituto della rappresentanza risulta, nel codice vigente, nettamente distinto da quello del mandato. Invero, mentre la procura è un negozio giuridico unilaterale con il quale viene conferito il potere di agire in nome e per conto di un determinato soggetto, il mandato è il contratto con il quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra. Ciò nondimeno secondo una interessante soluzione ermeneutica proposta da autorevole dottrina (cfr. Capozzi, Il Contratto in generale, pagg. 556 e ss. 2015) i due istituti risultano strettamente connessi tra loro e più in particolare si è sostenuto che la procura altro non sarebbe se non "il momento iniziale (proposta) di un iter contrattuale relativo al contratto di gestione il quale si perfeziona ex art. 1327 (conclusione del contratto mediante inizio dell'esecuzione n.d.a.), quindi l'esercizio del potere di agire in nome e per conto costituirebbe accettazione della proposta di mandato".

Tale impostazione risulta condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità che con sentenza 2006/12848 ha chiarito come il conferimento di una procura ed il suo esercizio "costituiscono sicuri indici per poter affermare che l'attribuzione di tale potere scaturisce da un accordo tra le parti con il quale si instaura un rapporto di mandato."
Ciò posto, vale la pena evidenziare come l'art. 1713 c.c. preveda espressamente l'obbligo per il mandatario di rendere il conto del suo operato, salvo naturalmente dispensa preventiva (che non opera in caso di dolo o colpa grave). Va sottolineato come l'obbligo in questione non si sostanzia semplicemente nell'indicazione di quanto si è speso ed incassato (c.d. mero rendiconto contabile), ma il mandatario è tenuto a dare conto di tutto quanto ha compiuto ed eseguito. In altri termini, il mandatario deve fornire ogni informazione circa "ciò che è accaduto" (cfr. ex multis Cass. 25904/2009) e più nello specifico, deve rendere noti tutti i fatti storici che hanno prodotto entrate ed uscite di denaro al fine di ricostruire i rapporti di dare e avere, con tutta la relativa documentazione di spesa.

Ciò posto, la questione che si è posta è se a seguito della morte del mandante, che naturalmente costituisce causa di estinzione del mandato ex art. 1722 c.c., il diritto al rendiconto si trasmetta o meno in capo agli eredi. La questione è stato oggetto di numerose pronunce ex multis segnaliamo la sentenza della Cassazione 2003/9262 con la quale si è chiarito come "l'estinzione del mandato per morte del mandante non fa venir meno l'obbligo di rendiconto del mandatario che deve adempierlo nei confronti degli eredi del mandante".

Quanto ai termini di prescrizione del diritto del mandante (ovvero dell'erede) ad ottenere il rendiconto va evidenziato come la Corte di Cassazione con sentenza n. 1991/6461 ha escluso l'applicazione dell'art. 2961 c.c. (rubricato "restituzione di documenti" che prevede il termine breve di prescrizione di tre anni) al mandato e più precisamente ha chiarito come "la prescrizione presuntiva di cui all'art. 2961 c.c. non può essere invocata con riferimento all'obbligo del mandatario di fornire al mandante il rendiconto e tutte le restituzioni cui è tenuto". Può quindi desumersi, in assenza di specifiche previsioni normative che deroghino la disciplina generale troverà applicazione il combinato disposto degli artt. 2946 e 2935 c.c. In altri termini troverà applicazione il termine decennale di prescrizione con decorrenza dal giorno in cui il diritto può essere esercitato.
Pertanto nell'ipotesi di una successione ereditaria dal giorno dell'apertura della successione. Un ultima riflessione riguarda la possibilità per il coerede, nell'abito di una comunione ereditaria, di poter esercitare individualmente detto diritto.

Vale la pena precisare brevemente che la normativa codicistica in materia di successioni non detta una specifica disciplina per la comunione c.d. ereditaria troverà pertanto applicazione la disciplina generale della comunione in quanto compatibile. Invero, l'art. 1105 c.c. stabilisce che "tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere all'amministrazione della cosa comune". Orbene, detta norma è stata oggetto di numerose pronunce della Suprema Corte in virtù delle quali sussisterebbe una c.d. "presunzione relativa" invero si deve presumere che il singolo comunista operi con il consenso degli altri. Se ne deduce che il singolo coerede può individualmente esercitare, tra gli altri, il diritto al rendiconto.

Avv. Marco Avecone
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