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Data: 20/10/2016 15:00:00 - Autore: VV. AA. Avv. Chiara Mussi - L'articolo 348 del Codice Penale prevede quale fattispecie penalmente rilevante l'abusivo esercizio di una professione, punendo chi esercita una professione sprovvisto della richiesta abilitazione da parte dello Stato quali il conseguimento di un titolo di studio o il mancato superamento del prescritto esame di Stato utile ad ottenere l'abilitazione all'esercizio di una determinata professione quale, ad esempio, quella forense, ma come tante altre. Come emerge da una recente pronuncia della Suprema Corte (la n. 38752/2016; leggi in merito: "Cassazione: truffa e non esercizio abusivo per il finto avvocato"), oggetto della tutela di cui all'art. 348 c.p., è costituito dall'interesse generale, riferito alla pubblica amministrazione, a che determinate professioni per il cui esercizio sono richiesti particolari requisiti, vengano esercitate da chi abbia conseguito una speciale abilitazione amministrativa e dunque risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge. Ne discende quale diretta conseguenza che la tutela in esame si estende soltanto agli atti, come si dice in sentenza, "propri" o "tipici" delle suddette professioni e non anche agli atti connessi all'esercizio professionale, ma che difettano della tipicità richiesta, ben potendo essere posti in essere da qualsiasi interessato (Cass. Pen. Sez. II n. 38752/16). Si può dunque concludere nel senso che il reato di abusivo esercizio di una professione ex art. 348 c.p. sussista ove un soggetto compia atti propri e tipici di una professione del cui titolo di abilitazione ai fini dell'esercizio sia sprovvisto. Avv. Chiara Mussi del Foro di Busto Arsizio chiara@avvocatomussi.it |
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