Data: 27/11/2016 15:30:00 - Autore: Avv. Francesco Pandolfi
Avv. Francesco Pandolfi - Prendendo spunto dalla sentenza n. 620/2016 del Tar Toscana, esaminiamo la situazione in cui si trova il titolare di licenza di porto d'armi ad uso caccia che riceve dal questore la sospensione della licenza.

Vediamo in sintesi il fatto.

L'interessato ha ricevuto una denuncia per aver esploso un colpo di fucile in aria nel corso di una lite familiare.
Cosa che ha pure attivato un provvedimento del prefetto di divieto di detenere armi (poi revocato).

Ultimato il processo penale, il tribunale assolve il titolare perché "il fatto non sussiste".

In pratica viene appurata la mancanza di volontà di costui nel minacciare la cognata, anzi: emerge con chiarezza che il colpo viene sparato solo per calmare gli animi dei presenti in quella spiacevole circostanza.

Il questore, dal canto suo, respinge l'istanza di revoca della sospensione della licenza e dispone la revoca definitiva del titolo autorizzatorio al porto d'armi.
Per giungere a questa conclusione, redige un'articolata motivazione tutta imperniata sulla vicenda penale, ma omette di dare il giusto risalto all'avvenuta assoluzione (fatto questo non secondario in un procedimento amministrativo di questo tipo).

La persona interessata, a questo punto, decide di proporre il ricorso, strutturandolo su tre capisaldi:

1) carenza di motivazione;

2) eccesso di potere per contraddittorietà nella motivazione;

3) violazione dell'art. 43 T.U.L.P.S.

Di fronte alle domande del ricorrente e alle controdeduzioni delle amministrazioni resistenti, i magistrati mostrano di aver ben inquadrato la situazione accordando ragione al primo.

Il ragionamento giuridico è semplice. Punto di partenza è la discrezionalità nella valutazione dell'affidabilità del soggetto.

Si sa, dicono i giudici, che l'amministrazione dispone di vasta discrezionalità nell'esaminare e decidere su situazioni di questo tipo; lo scopo di tale potere è quello di assicurare la completa sicurezza sull'uso delle armi, specie se messo in rapporto all'ordine pubblico e al sereno vivere della collettività.

Il rapporto giuridico che scaturisce dal rilascio dell'autorizzazione di polizia è sempre subordinato alla coincidenza con l'interesse pubblico che, a sua volta, è rimesso alla valutazione della P.A.

Il giudizio dato dall'autorità può essere però criticato se non rispetta i seguenti canoni:

a) ragionevolezza,

b) coerenza,

c) considerazioni probabilistiche,

d) circostanza di fatto assistite da "fumus".

Ora, nel caso oggetto di ricorso, le valutazioni fatte dalla questura non ricalcano affatto questi canoni.

In effetti, non risultano svolte adeguate valutazioni di probabilità e risalta evidente il travisamento dei fatti, ciò per i seguenti motivi:

e) il contenuto di assoluzione della sentenza penale non è stato considerato,

f) la mancanza di volontà nel minacciare non è stata valutata nel giusto modo,

g) non si è tenuto conto del diverso atteggiamento della Prefettura, la quale ha definitivamente revocato il provvedimento di detenzione armi emesso in precedenza,

h) comportamento contraddittorio di due Organi del Ministero dell'Interno sul nodo centrale della vicenda, rappresentato dal temuto abuso di arma.

Morale della favola: il ricorso viene accolto.

A questo punto: cosa fare in casi simili?

Presentare sicuramente il ricorso, in quanto il provvedimento dell'amministrazione lascia a desiderare perché irragionevole, incoerente, non da il giusto peso al verdetto penale (assoluzione perché il fatto non sussiste).


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