Data: 24/10/2016 19:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Pizzeria in un condominio? Se il regolamento condominiale non lo proibisce espressamente, i condomini possono mutare la destinazione d'uso dell'appartamento e adibirlo ad attivit� commerciale. La compressione di facolt� normalmente inerenti alle propriet� esclusive dei singoli condomini, infatti, deve risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 21307/2016 (qui sotto allegata). La vicenda originata dall'istanza di risarcimento danni e ripristino status quo ante avanzata dal proprietario dell'appartamento confinante con quello di alcuni condomini i quali,  in violazione del regolamento condominiale e di una delibera assembleare, avevano adibito il loro immobile, destinato esclusivamente ad uso abitativo, a pizzeria, mediante la creazione di una scala di collegamento interna con il sottostante terraneo, adibito a sua volta a pizzeria-ristorante, creando in tal modo intollerabili immissioni di rumori

La Corte d'Appello, accoglie la richiesta sulla base della clausola del regolamento condominiale secondo cui "I locali cantinati e i terranei potranno essere destinati ad autorimesse, a deposito, ad officina tecnicamente organizzata con rumorosit� per� da non superare i limiti consentiti dalle disposizioni di P.S. e comunale ed all'esercizio di qualsiasi attivit� commerciale, industriale, artistica e professionale, nonch� ad uffici, senza alcuna limitazione".

Secondo la Corte distrettuale, la previsione di una specifica possibilit� di utilizzo solo per i detti locali (ossia quelli cantinati e terranei e non siti ai piani superiori) imponeva di ritenere che ab implicito per gli altri locali, quale appunto l'appartamento degli appellati, fosse vietata una diversa destinazione. 
Una decisione ribaltata in sede di legittimit�, dove l'attenzione si sposta, invece, sul tenore letterale e sul significato delle espressioni contenute nel regolamento.

Per gli Ermellini, in relazione all'interpretazione del regolamento condominiale di origine contrattuale, si � ribadito in giurisprudenza che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento � rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, sicch� le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento.

Per "senso letterale delle parole" deve intendersi tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non gi� in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di pi� clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato

Tale necessit�, ancorata all'esigenza di limitare al massimo la compressione delle propriet� individuali, impone quindi un'interpretazione  del regolamento fondata sulla chiarezza ed univocit� del tenore e delle espressioni letterali, dovendosi rifuggire quindi da un'esegesi invece ancorata alla ricostruzione di una volont� implicita, come invece accaduto nella fattispecie, trascurandosi altres� l'adeguamento al canone interpretativo di cui all'art. 1363 c.c., che, tenuto conto dell'esistenza di altre previsioni in materia di limitazioni della propriet� individuale, avrebbe dovuto imporre di valutare le limitazioni alla propriet� individuale secondo un principio di tendenziale e rigida tassativit�

Pertanto, solo le limitazioni espressamente previste possono reputarsi operative, mentre laddove il regolamento non sia sufficientemente preciso, non possono desumersi divieti impliciti come invece avvenuto ad opera della Corte d'Appello. La sentenza dovr� essere quindi cassata con rinvio ad altra sezione.

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