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Data: 28/10/2016 16:00:00 - Autore: Francesca Trotta di Francesca Trotta - Il nostro sistema giuridico assicura ai privati la possibilità di svolgere liberamente l'iniziativa economica e di regolare in piena autonomia i propri interessi patrimoniali. Il perseguimento di questo fine può avvenire autonomamente o tramite il ricorso ad una sostituzione in virtù della quale il contraente sceglie un soggetto idoneo a sostituirlo nello svolgimento delle attività negoziali. La figura più importante di sostituzione nell'altrui attività giuridica prende il nome di rappresentanza. La rappresentanza è l'istituto in base al quale un soggetto, il rappresentante agisce in nome e per conto di un altro soggetto, c.d. rappresentato, sostituendosi a quest'ultimo per la cura dei suoi interessi nei confronti dei terzi. Ai sensi dell'art. 1388 c.c., il contratto concluso dal rappresentate in nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti dei terzi. Tant'e che nella rappresentanza diretta, diversamente che da quella indiretta in cui non si realizza la spendita del nome altrui, si registra una netta scissione tra parte formale e parte sostanziale del costituendo contratto. La parte in senso sostanziale è la titolare del rapporto contrattuale, verso la quale il contratto produce effetti, mentre la parte formale è rappresentata dal rappresentante ovvero l'autore materiale dell'atto. La rappresentanza è caratterizzata da tre importanti aspetti: la spendita del nome del rappresentato c.d. contemplatio domini, idonea a determinare la scissione nei termini suddetti; l'esistenza di un rapporto gestorio attuato dalla volontà del rappresentate, dovendo il sostituto agire per la cura degli interessi del rappresentato, salvo il caso in cui quest'ultimo abbia acconsentito a che la produzione di effetti ricada anche nella sfera del rappresentante ai sensi dell'art. 1395 c.c. e salvo il caso in cui il contratto concluso non sia in conflitto di interessi con il rappresentato, pena l'annullabilità dello stesso; ed infine il potere del rappresentate. Quanto a quest'ultimo aspetto affinché gli atti possano produrre effetti nella sfera giuridica altrui è necessario che il rappresentate sia stato investito di tale potere. Ai sensi dell'art. 1397 c.c. il potere di rappresentanza è conferito dalla legge o dall'interessato. Quando la rappresentanza è conferita dall'interessato, per la validità del contratto concluso dal rappresentate basta che questi abbia la capacità di intendere e di volere avuto riguardo alla natura è al contenuto del contratto stesso, sempre che il rappresentato sia legalmente capace. L'atto mediante il quale l'interessato investe di fronte a terzi un soggetto al fine del perseguimento degli obbiettivi suddetti prende il nome di procura. La procura è l'atto unilaterale mediante il quale il rappresentato investe il rappresentaste del potere di agire in suo nome e per suo conto nei rapporti verso i terzi. Oltre ad essere unilaterale è anche recettizio in quanto si perfeziona quando è portato a conoscenza dell'altra parte. Il carattere della recettizietà è stato avvallato dalla tesi prevalente contrariamente a coloro i quali sostenevano come invece non fosse necessario portarlo a conoscenza dell'altra parte. La tesi prevalente trova giustificazione non solo nell'art. 1393 c.c. in cui si legge che il terzo che contratta col rappresentate può chiedere che questi giustifichi i suoi poteri, ma anche dallo stesso art.1397 c.c. in cui è previsto che il rappresentate è tenuto a restituire il documento dal quale risultano i suoi poteri quando questi sono cessati. La procura è inoltre revocabile sempre se conferita nell'interesse del rappresentato mentre sarà revocabile solo se sussiste una idonea causa di giustificazione o se vi è stata autonoma pattuizione nel caso di procura conferita anche nell'interesse del rappresentante. Anche la revoca è intesa come negozio unilaterale, inoltre essa e le modificazioni della procura devono essere portate a conoscenza con mezzi idonei se non prova che questi le conoscevano al momento della conclusione del contratto. A seguito di siffatta premessa in ordine all'origine del potere rappresentativo ed ai caratteri dell'investitura bisogna precisare che talvolta l'attività del rappresentante si caratterizza per essere abusiva laddove questi trascura o lede l'interesse del rappresentato o si discosta dalle informazioni ricevute. Diversa dall'ipotesi di abuso, volto a determinare conflitto di interesse, è l'ipotesi della rappresentanza senza potere idonea a determinare una situazione di apparenza giuridica. Mentre in caso di abuso il rappresentante fa cattivo uso del potere conferitogli, di un potere di cui è comunque titolare, nel caso di rappresentanza senza potere il soggetto è invece privo del relativo potere rappresentativo trattandosi a riguardo di falsus procurator. Colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti della facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto. Il contratto stipulato dal falsus procurator non può produrre effetti né nei confronti del rappresentato, in quanto non vi è stata normale investitura da parte di questi, né nei confronti del falso rappresentate in quanto questi ha concluso un contratto in nome altrui. A tal punto la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate in merito alla natura del contratto stipulato dal falsus procurator. Secondo un primo orientamento il contratto avrebbe potuto dirsi nullo in quanto ove il legislatore avesse voluto propendere per l'annullamento non solo lo avrebbe precisato ma ne avrebbe inserito i caratteri. Nel caso del contratto concluso dal falso procuratore non si hanno dei veri e propri vizi del consenso ma tutt'al più si avrebbe mancanza di alcuni elementi. Un secondo orientamento invece argomentava nel senso dell'ammissibilità della tesi circa la annullabilità in virtù del riferimento all'istituto della ratifica presente nell' art. 1399 c.c. non ammissibile invece se si argomentasse nel senso della nullità. L'orientamento prevalente sostiene come il contratto concluso dal falsus procurator sia inefficace. Il contratto sarebbe in sé perfetto sul piano strutturale ma la mancanza di legittimazione costituirebbe un vizio esterno al contratto tale da impedire al medesimo di produrre effetti salvo ratifica. Quanto all'impugnazione dell'inefficacia, inizialmente si riteneva che il contratto concluso con falsus procurator non sarebbe rilevabile d'ufficio, bensì solo su eccezione del falso rappresentato e non anche dal terzo contraente. Recentemente le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono pronunciate a riguardo e con sentenza del 2015 n. 11377 hanno argomentato sostenendo come poiché la sussistenza di un potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è elemento costitutivo della pretesa che il terzo contraente intende far valere in giudizio la deduzione della inefficacia per lo pseudo rappresentato del contratto concluso dal falsus procurator non ricade nella preclusione di cui all'art.167 c.p.c. , laddove quindi il difetto di rappresentanza risulti dagli atti il giudice deve tenerne conto "anche" in mancanza di una specifica richiesta di parte. Quanto alla responsabilità del falsus procurator nei confronti del terzo si determina una vera e propria lesione della libertà negoziale il quale è stato dolosamente indotto a concludere un contratto invalido. Secondo la tesi prevalente il soggetto de quo risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale in particolar modo di responsabilità precontrattuale. Il presupposto per l'azione di responsabilità è l'inefficacia del contratto così concluso e la mancata ratifica da parte del rappresentato. Il falso rappresentante è dunque tenuto a risarcire il danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato senza sua colpa nell'efficacia del contratto o in generale nell'atto compiuto dal falsus procurator. Il risarcimento cui è tenuto il falso rappresentante non ha ad oggetto l'interesse positivo e cioè l'interesse che sarebbe stato soddisfatto dall'inefficacia, bensì l'interesse negativo è cioè l'interesse del terzo a non essere coinvolto da un atto inefficacie. Il danno da risarcire dovrà essere certo ,dovendo l'inefficacia divenire definitiva. Il terzo potrà agire direttamente nei confronti del falso rappresentante ma prima che si concluda il giudizio avrà l'onere di fissare al rappresentato i termine entro il quale esercitare la ratifica Qualora quest'ultimo decidesse di ratificare il contratto il terzo potrebbe ugualmente chiamare lo pseudo rappresentante a rispondere dei danni subiti in ragione della temporanea inefficacia. Il soggetto sarà chiamato a rispondere in tal senso qualora il terzo abbia confidato "senza sua colpa" nella validità del contratto concluso. Il terzo sarà invece in colpa quando sia incorso in errore evitabile con l'ordinaria diligenza. Nonostante la previsione di un meccanismo di compensazione di colpe in dottrina non si ritiene che il terzo sia chiamato a pretendere la giustificazione dei poteri del rappresentante ex art.1393c.c., ad ogni modo potrà l'interprete consideralo nel giudizio di verifica della colpa, trattandosi comunque di un comportamento omissivo. Se il falso rappresentante ha dolosamente determinato la situazione di apparenza la colpa del terzo risulta irrilevante. Finora si è avuto modo di analizzare come in caso di contratto stipulato dallo pseudo rappresentate nessun effetto è destinato a prodursi nella sfera giuridica del falso rappresentato, salvo ratifica. Quanto esaminato va però precisato alla luce della rappresentanza apparente. La rappresentanza apparente è un principio frutto di creazione pretoria in virtù del quale è rappresentate apparente colui che in base a circostanze univoche pare essere rappresentante mentre in realtà risulta essere privo di poteri rappresentativi. La giurisprudenza formatasi in materia induce a rinvenire l'effettivo fondamento del principio di apparenza in chiare ragioni equitative, che hanno portato al superamento del principio tradizionale del "nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet".Tra la posizione del terzo, che ha fatto affidamento su una situazione di apparenza, e quella di chi ha creato le condizioni affinché apparisse all'esterno la legittimazione del falsus procurator, si ritiene equo tutelare la prima, a condizione che sia in concreto riscontrabile un comportamento doloso o colposo dell'autore della situazione di apparenza. Per apparentia iuris dunque si intende l'ipotesi in cui circostanza univoche ed obbiettive fanno apparire reale un rapporto ovvero una situazione giuridica che nella realtà risulta essere insistente atteggiandosi lo stato di fatto nello stesso modo del corrispondente status di diritto. È importante precisare che la semplice apparenza della legittimazione del rappresentante non vale a supplire alla mancanza del poter de quo. Chi non ha il poter di rappresentante rimane falso rappresentate anche se la sua legittimazione sia attestata da circostanze idonea ad indurre un terzo ad affidarsi alla situazione erroneamente rappresentata. Va da sé che il rischio della rappresentanza apparente ricade sempre sul terzo in quanto dalla situazione di fatto sembrava discendere un potere giustamente attribuito al rappresentato e dunque idoneo ad ingenerare nel terzo il legittimo affidamento che il contraente agisse realmente, perché in possesso di valida procura, in nome e per conto del rappresentato. Il contratto concluso dal falso rappresentante è efficace nei confronti del rappresentato solo se questi ha dato causa alla situazione apparente. In tal senso chi ha dolosamente o colposamente creato l'apparenza di una situazione di diritto o di fatto subisce la conseguenza della sua condotta nei confronti di chi abbia fatto ragionevole affidamento. E' interessante notare come la situazione così prospettata sia dotata di un quid pluris rispetto alla situazione normalmente determinata dal caso del contratto concluso dalla pseudo rappresentate e per giunta non ratificato, nel caso in specie il rappresentato è a conoscenza della situazione de quo. L'apparenza siffatta è definita appunto colposa e per tale ragione opera il principio di auto-responsabilità rispondendo il rappresentato, come suddetto, delle obbligazioni stipulate in suo nome non già per aver effettivamente conferito il potere, ma per aver contribuito ad ingenerare nel terzo il legittimo affidamento. Come è agevole comprendere l'apparenza colposa si distingue da quella pura in quanto oltre alla ricorrenza di circostanze univoche ed obiettive idonee a giustificare l'erroneo convincimento del terzo nella rappresentanza colposa è necessario, al fine di definirla tale, il comportamento malizioso o negligente del soggetto nei cui confronti l'apparenza si invoca. La giurisprudenza inquadra la fattispecie nell'ambito della responsabilità aquiliana in termini di responsabilità precontrattuale. Una parte della giurisprudenza però suggerisce invece di individuare una forma di tutela integrativa dell'art. 1398 c.c. propendendo per una estensione del risarcimento all'interesse positivo non limitando il risarcimento all'interesse negativo come è proprio della responsabilità precontrattuale. Quanto agli elementi costitutivi della fattispecie è considerato comportamento idoneo quello della c.d. rappresentanza tollerata, ossia il comportamento di chi pur sapendo che altri sta agendo in una pluralità di casi senza potere non si oppone a tale modo di agire. Al riguardo la situazione di tolleranza deve essere arricchita da un elemento aggiuntivo consistente nel fatto che il rappresentato abbia in precedenza conferito potere all'attuale pseudo rappresentante. Da tale situazione di colpevole inerzia scaturiscono eventi di danno nella sfera giuridica patrimoniale dei soggetti terzi, i quali, in assenza di opposizioni da parte del presunto rappresentato, ragionevolmente ritengono di porre in essere attività negoziale con un soggetto dotato di pieni poteri rappresentativi. Il comportamento del falsus dominus, quindi, dà adito all'ingenerarsi dell'errore da parte del terzo, e, affinché ciò avvenga, è sufficiente che questi abbia tollerato che il procurator agisse in suo nome in quella determinata situazione o in altre precedenti circostanze.L' ipotesi della tolleranza non va confusa con le fattispecie di ratifica tacita dell'operato del falsus procurator: essa, infatti, non è sufficiente, da sola, a costituire un conferimento tacito del potere rappresentativo dal momento che essa subentra a fronte di un'attività negoziale già iniziata. Concretandosi in una mera inerzia, in un nihil facere, la "tolleranza" da parte del falso rappresentato non è atta ad esprimere la volontà negoziale di convalidare quanto posto in essere dall'apparente rappresentante, è necessario, pertanto, affinché si possa ravvisare un comportamento concludente animato dalla volontà di ratificarne l'operato, che ricorra quel quid pluris esaminato che legittimi sul piano oggettivo l'imputazione del rapporto ad un soggetto che ne è estraneo. Anche se non è espressamente previsto dalla legge il principio dell'apparenza imputabile è ormai regola di diritto effettivo applicabile dalla giurisprudenza principalmente in tema di società e di rappresentanza. D.ssa Trotta Francesca Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli e specializzata in Professioni Legali presso la stessa università e-mail : trottaf@live.it Leggi anche: - La rappresentanza nel diritto civile - La procura generale nei contratti |
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