Data: 31/10/2016 10:30:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Le lettere confidenziali che i coniugi si scambiano durante il loro rapporto coniugale possono essere utilizzate nel successivo eventuale giudizio di separazione? La domanda è lecita e tanti se la saranno posta: in alcuni casi, infatti, le parole scritte possono rappresentare un "bottino" importante che può aiutare a far scattare l'addebito.

La questione è arrivata anche nelle aule di giurisprudenza, ma la risposta non è scontata.

Niente confessione

Se la lettera è oggetto di corrispondenza tra i coniugi, non si vede perché essa non possa essere prodotta: non c'è una riservatezza da mantenere e non violare.

Il problema, però, è un altro: le lettere non sono sempre esplicite e, comunque, hanno un valore probatorio limitato, che necessita di altri riscontri.

Per i giudici della Cassazione, infatti, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione ex art. 2730 c.c. ai fini dell'addebitabilità della separazione, vertendosi in materia di diritti indisponibili.

Si pensi, ad esempio, a quanto deciso con la sentenza numero 7998 del 4 aprile 2014: i giudici di legittimità si sono confrontati con una vicenda in cui una donna aveva prodotto in giudizio una lettera che le aveva inviato l'ex marito quando ancora il loro rapporto non era naufragato.

In essa, infatti, l'uomo aveva riconosciuto le sue mancanze nei confronti della donna, la quale aveva quindi sperato che tramite le parole scritte dall'ex avrebbe potuto ottenere l'addebito.

I giudici, però, hanno tradito le sue aspettative stabilendo che il contenuto della lettera non può essere interpretato come una confessione: il marito avrebbe infatti potuto anche decidere di utilizzare certe parole solo al fine di tentare la riconciliazione.

In ogni caso ciò non toglie che il contenuto della lettera può essere utilizzato come indizio, in quanto tale valutabile dal giudice liberamente.

Libertà di autodeterminarsi

Più recentemente, la stessa conclusione è stata raggiunta dalla Cassazione con l'ordinanza numero 8149/2016: questa volta la lettera incriminata è scritta dalla moglie, ma il risultato non cambia. Le parole contenute nella missiva, per i giudici, non possono essere considerate una vera e propria confessione: si tratta, piuttosto, di semplice autocritica dei comportamenti tenuti in costanza di matrimonio, ovverosia in un contesto riservato e personale in cui è abituale che i coniugi tengano comportamenti che esprimono luci e ombre del loro carattere.

Con tale pronuncia i giudici hanno aggiunto anche che assumersi la responsabilità di porre fine al proprio matrimonio non significa di per sé violare gli obblighi assunti con la promessa, ma semmai è espressione della libertà fondamentale di autodeterminarsi nella conduzione della propria vita familiare e personale.

Corrispondenza del partner

In conclusione, quindi, produrre la corrispondenza riservata tra coniugi in un giudizio di separazione o divorzio non è di per sé vietato: bisogna solo tener conto del limitato valore probatorio che le lettere possono assumere in concreto.

Diverso però è il caso in cui la corrispondenza che si intende produrre non è quella tra coniugi ma quella tra il coniuge e una terza persona.

In una simile ipotesi il pericolo che si corre nel produrre il materiale indebitamente scovato per dimostrare di chi è la colpa della rottura del legame coniugale è quello di essere condannati penalmente.

Visualizzare la corrispondenza personale del partner ed appropriarsene è infatti una condotta vietata dall'articolo 616 del codice penale, che sanziona il reato di violazione, sottrazione o soppressione di corrispondenza.

Quindi, anche se il giudice civile dovesse ammettere l'introduzione delle lettere come prova nel procedimento di separazione o divorzio, il rischio di essere denunciati penalmente è concreto.


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