Data: 20/11/2016 15:00:00 - Autore: Avv. Francesco Pandolfi
Avv. Francesco Pandolfi - Di fronte ad esigenze di tutela della paternità e maternità, di protezione della famiglia e dei figli, l'istituto delle assegnazioni temporanee (da una sede di servizio ad un'altra) è applicabile, ai sensi del Codice dell'ordinamento militare, al personale militare maschile e femminile analogamente a quanto accade per altro personale della Pubblica Amministrazione.

Questo è il principio scritto nella norma ed è chiaro, ma i militari sanno quali peripezie spesso si trovano ad affrontare quando chiedono l'assegnazione definitiva ad un reparto allo scadere dell'assegnazione temporanea (leggi anche: "Forze Armate: trasferimento temporaneo e definitivo").

Specie quando il problema è serio, quale può essere quello di una madre separata e collocataria di due figli minori la quale, trasferita temporaneamente presso una città, chieda di restarvi definitivamente per proseguire la cura del nucleo familiare.
I problemi nascono quando l'amministrazione non risponde alle istanze che vengono rivolte.

Spesso queste istanze vengono sistematicamente ripetute per mettere in risalto la gravità e l'urgenza del problema da risolvere, senza che giunga però mai una qualsiasi risposta.

Va da se, quindi, che di fronte al silenzio l'unica difesa del militare è agire anche alla fine con il ricorso.

Nel caso trattato con la sentenza in commento, la ricorrente ne ha provate di tutte:

1) istanza di conferimento con il Capo di Stato Maggiore, allegando istanza di assegnazione definitiva per gravi motivi familiare e documentazione a sostegno (durante il colloquio l'istanza non viene riscontrata),

2) altra istanza di assegnazione definitiva, questa volta il colloquio è con il Generale Comandante, ma anche qui senza esito,

3) istanza di conferimento (visto il silenzio dello Stato Maggiore Esercito) con Ministro della Difesa per motivi personali ed attinenti al servizio, anche questa senza risultato,

4) sospensione del procedimento per conferire con il Ministro e attivazione di una nota esplicativa della grave situazione da parte del Comandante, anche questa senza esito,

5) ennesima istanza di sollecito proposta dal militare, anche questa volta senza risposta,

6) infine ricorso al Tar, chiedendo un provvedimento espresso sulle singole richieste fatte.

Cosa accade in tribunale

Il ricorso viene accolto; le domande del militare sono qualificate come istanze di "trasferimento a richiesta".
La ricorrente invoca, in particolare, l'applicazione dell'art. 1039 comma 1 lettera "a" d.p.r. 90/2010 che stabilisce il termine di giorni 180 per la conclusione dei rispettivi procedimenti.

Il Tar ritiene che nessun ostacolo si frappone all'accoglimento della domanda: il termine invocato è ritenuto applicabile al caso e la sua decorrenza è fatta coincidere con il momento in cui il militare ha concluso il suo conferimento, perché solo da quel momento egli ha potuto spiegare la propria situazione.

In sostanza, viste le audizioni succedutesi, entro 180 giorni decorrenti da quelle date i relativi procedimenti dovevano essere conclusi dall'amministrazione.

Si tratta infatti di procedimenti ad avvio obbligatorio con istanza di parte, come prescritto dall'art. 2 Legge n. 241/90.

La sentenza

Favorevole per il militare; la difesa ha proposto anche utili argomenti difensivi in tema di disapplicazione, ad esempio, della circolare P001 ed. 2014 Cap V capo III par. 10, nonché dell'allegato Alfa al messaggio n. 12583 del 22.12.2014.

Come comportarsi in casi simili

Affrontare con fiducia il ricorso, il cui risultato può giungere anche grazie alla nomina di un Commissario ad acta (soggetto interno all'amministrazione militare, visto il delicato equilibrio tra i contrapposti interessi in gioco) quando l'amministrazione persiste nell'inerzia.

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