Data: 15/01/2017 09:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – L'idea che il mantenimento da corrispondere all'ex possa anche durare per sempre, arrivando fin dove il matrimonio non è riuscito ad arrivare, è una prerogativa tipicamente italiana (leggi in merito: "Il mantenimento all'ex può essere a vita?"). 

Uscendo al di fuori dei confini del Bel Paese le cose cambiano radicalmente. Addirittura in Germania il periodo di tempo in cui due coniugi devono continuare a sostenersi economicamente, nonostante le loro strade si siano separate ufficialmente, è di solo un anno: il minimo indispensabile per "rimettersi in piedi". E l'assegno di mantenimento "a tempo" non è solo un'esclusiva del popolo tedesco. Stiamo parlando forse di due eccessi ma questo dovrebbe farci riflettere per capire se può avere davvero un senso trasformare il matrimonio in un contratto che ci lega per sempre non tanto per gli affetti quanto per gli obblighi di natura economica, specie se si considera che spesso il mantenimento è calcolato in modo tale da trasformare il coniuge obbligato in un senza tetto. Insomma "è proprio il voler garantire l'analogo tenore di vita antecedente alla cessazione del matrimonio, a creare i maggiori squilibri" (vedi: Il dramma silenzioso dei padri separati).

I criteri di calcolo dell'assegno di mantenimento hanno senso?

Oggi il parametro per eccellenza per il calcolo dell'assegno di mantenimento è quello del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Ma è davvero possibile garantire all'ex coniuge un tenore di vita analogo a quello che si è avuto fino al momento della separazione? Quando da una famiglia ne nascono due, i soldi che prima erano sufficienti a permettere di beneficiare di certi agi molto probabilmente non lo saranno più. Due bollette, due affitti, doppia spesa, doppie utenze...è innegabile che i costi aumentano.

Se poi a ciò si aggiunge l'influenza, che alcuni rendono incidente, della durata del rapporto, si fa presto a capire che qualcosa non va.

Pur volendo valorizzare la funzione di solidarietà familiare anche a prescindere dalla separazione, come in Italia si è deciso di fare, magari un assegno perenne sarebbe meglio sopportato se accompagnato da parametri di valutazione più oggettivi e chiari. Non proprio una rendicontazione delle spese, come alcuni propongono, ma certamente qualcosa di più accettabile per le tasche di molti obbligati sì.

L'articolo 156 c.c.

In realtà basterebbe anche solo un'interpretazione più evoluta della norma che disciplina tale assegno e che è contenuta nell'articolo 156 del codice civile, il quale così dispone: "il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato".

Insomma: non è difficile trovare già nel codice civile gli strumenti per rendere il sistema un po' più funzionante.

Patti prematrimoniali

Un altra strada, suggerita da alcuni, potrebbe essere quella di aprire le porte, anche in Italia, ai poco romantici patti prematrimoniali, diffusissimi nei paesi anglosassoni.

Chi vuole, così, potrebbe sapere in anticipo a cosa andrà incontro se le cose non dovessero funzionare.

E dopo la morte?

Peraltro, i diritti del coniuge separato in Italia non vengono meno neanche con la morte. Basti pensare che se non c'è stato divorzio né addebito con sentenza definitiva, i diritti successori sono i medesimi del coniuge effettivo.

Se poi c'è addebito, all'ex coniuge che godeva del diritto agli alimenti spetterà comunque un vitalizio.

Inoltre la separazione non incide neanche sul diritto al TFR, all'indennità di mancato preavviso e alla pensione di reversibilità.

Niente più assegno se c'è una nuova famiglia. Anche di fatto.

In ogni caso, dalle aule di giustizia qualche segnale di cambiamento sta iniziando ad arrivare.

Con la sentenza numero 6855/2015, ad esempio, la Corte di Cassazione ha definitivamente posto un freno all'assegno di mantenimento: se il beneficiario si rifà una famiglia, anche solo di fatto, l'ex coniuge non dovrà più contribuire al suo sostentamento.

Tale principio, in realtà, era già stato affermato con la sentenza numero 17195/2011, ma la più recente sentenza è andata oltre: se la famiglia di fatto si scioglie, il diritto agli assegni comunque non torna.


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