Data: 21/11/2016 20:50:00 - Autore: Donatella Squillace

Avv. Donatella Squillace - Con sentenza n. 46688/2016 (qui sotto allegata), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale relativo alla sorte delle statuizioni civili della sentenza di condanna revocata per intervenuta depenalizzazione del fatto di reato.

Invero, secondo un primo orientamento, prospettato nelle sentenze Sez. 5, n. 7124 del 09/02/2016, Portera e n. 14041 del 15/02/2016, Carbone, il giudice penale della impugnazione contro sentenza di condanna mantiene il potere di decidere il ricorso agli effetti civili. Tale orientamento si basa sull'art. 2, secondo comma c.p. che stabilisce in caso di abolitio criminis intervenuta dopo la sentenza di condanna, la cessazione dell'esecuzione di questa e dei relativi effetti penali, potendosi quindi dedurre che gli effetti civili, non disciplinati espressamente, non siano venuti meno con l'abrogazione e continuino ad esplicare i loro effetti. Inoltre, in applicazione dell'art. 11 delle preleggi, («la legge non dispone che per l'avvenire»), la parte civile avrebbe diritto alla decisione sulla propria azione fatta valere precedentemente nel processo penale.

Secondo altre sentenze (n. 14529 del 23/03/2016, Bosco, Rv. 266467, n. 29603 del 27/04/2016, De Mauri, Rv. 267166, n. 33058 del 03/05/2016, Competiello e n. 33544, Rizzuti, n. 21598 del 24/05/2016, Panizzo e n. 24299 del 27/05/2016, Cascarano) i decreti legislativi n. 7 e 8 del 2016 devono essere interpretati unitariamente, per "l'art. 9, comma 3 D. Lgs 8/2016, facendo riferimento generico a tutte le ipotesi in cui il giudice dell'impugnazione dà atto dell'intervenuta depenalizzazione con il dovere aggiunto di decidere sulla domanda civile proposta nello stesso procedimento, si applica anche alla materia regolata dal d.lgs. n. 7".

Si richiama, inoltre, la necessità di un'interpretazione costituzionalmente orientata, poiché la revoca delle statuizioni civili costringerebbe la parte civile ad adire il giudice nonostante il fatto sia stato accertato in un giudizio penale, in violazione dei principi di ragionevole durata del processo e di economia processuale (art. 111 Cost.)

Secondo altro e contrastante orientamento, invece, (n. 15634 del 19/02/2016, Guerzoni, Rv. 266502, n. 14044 del 09/03/2016, Di Bonaventura, Rv. 266297, n. 16147 del 01/04/2016, Favaloro, Rv. 266503 e n. 32198, del 10/05/2016, Marini, Rv. 267002, n. 26862, del 01/06/2016, Raiti; Sez. 5, n. 31643, del 01/06/2016, Lombardo; Sez. 5, n. 31646, del 01/06/2016, Lana; Sez. 5, n. 26840, del 20/05/2016, De Mercato; Sez. 5, n. 19516, del 15/04/2016, Pianta; Sez. 5, n. 31617 del 01/04/2016, Bonzano, n. 26091, del 10/06/2016, Tesi, Rv. 267004 e n. 26071, del 09/06/2016, Rossi, Rv. 267003), l'art. 2, secondo comma c.p. non è applicabile al caso in questione, bensì soltanto alla cessazione dei soli effetti penali in caso di abrogazione sopravvenuta ad una sentenza di condanna definitiva.

Né può applicarsi al D.Lgs 7/2016 il disposto dell'art. 9 D.Lgs 8/2016 poiché si tratterebbe di applicazione analogica di norma eccezionale, non consentita nell'ordinamento vigente.

Le Sezioni unite della Cassazione si sono espresse in favore di quest'ultimo orientamento, osservando che l'art. 12 D. Lgs. 7/2016 prevede una disciplina transitoria nella quale non si fa cenno alcuno al potere del giudice dell'impugnazione di decidere l'appello o il ricorso con riferimento ai capi concernenti le statuizioni civili. Inoltre, il potere di irrogare le sanzioni pecuniarie civile stabilite al posto dei reati abrogati, viene espressamente attribuito al giudice competente a decidere sul risarcimento del danno, che è il giudice civile. Secondo la Corte, invero "Il complesso normativo può dunque dirsi frutto di una coerente valutazione degli effetti della novella sui fatti commessi antecedentemente alla sua entrata in vigore, destinati ad un esito processuale certo ed immediato, nella sede penale, per quanto riguarda la rilevazione della abrogazione, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., nonché ai sensi dell'art. 667, comma 4, stesso codice, per quanto concerne le condanne passate in giudicato, e ad un futuro solo eventuale per quanto riguarda l'accertamento del diritto al risarcimento e l'applicazione della sanzione pecuniaria civile, strettamente correlati sul piano della competenza ed entrambi subordinati alla investitura del giudice civile ad opera della parte interessata alla riassunzione"

In via sistematica, osserva la Corte che la decisione sulle istanze della parte civile è subordinata alla condanna dell'imputato, come richiede l'art. 538 c.p.p. e come ribadito altresì nella sentenza della Corte costituzionale n.12 del 2016. Tale principio deve necessariamente applicarsi anche per il giudizio dell'impugnazione, posto il richiamo effettuato dall'articolo 598 c.p.p. L'art. 578 c.p.p., pertanto – il quale prevede la possibilità per il giudice dell'impugnazione di pronunciarsi, in caso di declaratoria della causa di estinzione del reato per amnistia e per prescrizione, anche agli effetti civili – è da ritenersi norma eccezionale e derogatoria all'impianto sistemico codicistico generale e poiché "«fa eccezione a regole generali o ad altra legge», rende evidente, nel rispetto dell'articolo 14 delle preleggi, che non si applica oltre i casi e i tempi in esso considerati."

Il divieto di applicazione analogica posto dalle preleggi deve ritenersi operante anche con riferimento all'applicazione del disposto dell'art. 9, comma 3, d.lgs. n. 8 del 15 gennaio 2016, al sistema delineato dal d.lgs. n. 7. poiché "si tratta di discipline rispondenti a criteri strutturali non sovrapponibili". Invero, mentre la Relazione del d.lgs. n. 8 prevede che, in via interpretativa, alle sanzioni amministrative oggetto della novella viene riconosciuto carattere punitivo-afflittivo, tale da renderle omogenee, al pari dei fatti già dotati di rilievo penale, alla "materia penale", tale possibilità non riguarda il d. Lgs 7/2016 "pur connotato dal succedere della sanzione civile a quella penale riguardo a fatti sostanzialmente sovrapponibili, posto che la sanzione irrogata dal giudice civile, oltre che subordinata ad una iniziativa della parte privata, è connotata anche da requisiti di tipo compensativo, sicché rimane ontologicamente fuori del perimetro della "accusa in materia penale".

Per quanto concerne, infine, il presunto contrasto con l'art. 111 Cost, osservano le Sezioni Unite che la Corte Costituzionale ha in più occasioni rilevato che l'azione civile assume carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione penale ed è perciò destinata a subire «tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioè dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi» cosicché "la eventuale impossibilità, per il danneggiato, di vedere esaminata la propria domanda di risarcimento non incide neppure in modo apprezzabile sul diritto di difesa e prima ancora sul diritto di agire in giudizio, poiché resta intatta la possibilità di esercitare l'azione di risarcimento del danno nella sede civile". Ed inoltre, con riferimento al principio di ragionevole durata del processo, si osserva che "se è vero che la preclusione della decisione sulle questioni civili comporta il procrastinare la pronuncia definitiva sulla domanda risarcitoria del danneggiato, costringendolo ad instaurare un autonomo giudizio civile, si rinviene la quadratura della impostazione nel carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nell'ambito del processo penale rispetto alle finalità di quest'ultimo, che sono date dal preminente interesse pubblico alla sollecita definizione del processo penale, destinato a non concludersi con un accertamento di responsabilità «riportando nella sede naturale le istanze di natura civile fatte valere nei confronti dell'imputato»".

La stessa Corte EDU ha stabilito non sussiste la violazione del diritto di accesso ad un tribunale nel caso di mancata decisione sulle statuizioni civili per essere il procedimento penale chiuso con sentenza diversa da quella di condanna: violazione che, invece, viene ritenuta ravvisabile solo quando la vittima del reato non disponga di rimedi alternativi concreti ed efficaci per far valere le sue pretese, circostanza non applicabile all'ordinamento italiano, che prevede il ricorso al giudice civile.

Le Sezioni Unite risolvono, nella medesima sentenza, anche l'ulteriore contrasto interpretativo relativo al ricorso proposto dalla parte civile, ai soli effetti civili, avverso una sentenza di assoluzione da uno dei reati in ordine ai quali, nelle more del giudizio di impugnazione, si è prodotto l'effetto abrogativo. La sentenza n. 20206 del 27/04/2016, Were, Rv. 266680 ha dichiarato inammissibile detto ricorso per carenza di interesse, essendo venuto meno il presupposto della previsione del fatto come reato quale fondamento della responsabilità, anche ai solo fini civilistici.

Al contrario le sentenze n. 16131 del 24/02/2016, Aureli, Rv. 267001, e n. 35341 del 09/03/2016, Frattina, hanno ritenuto ammissibile detto ricorso, alla luce del disposto di cui all'art. 576 c.p.p.

Le Sezioni Unite ritengono che tale ricorso sia inammissibile poiché il giudizio richiesto dalla parte civile al giudice penale, nella ipotesi descritta, implichi un percorso di accertamento della sussistenza del reato abrogato: accertamento che deve ritenersi, non diversamente da quello penale, impossibile a causa della eliminazione della figura del reato dall'ordinamento penale in virtù dell'abrogazione. La parte civile costituita potrà, dunque, adire ex novo il giudice nella sede naturale per la tutela degli interessi risarcitori senza incontrare preclusioni di cui all'art. 652 c.p.p. non essendosi prodotto alcun accertamento con efficacia di giudicato.

Pertanto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: "In caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice della impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Il giudice della esecuzione, viceversa, revoca, con la stessa formula, la sentenza di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili".


Avvocato Donatella Squillace

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