Data: 16/11/2016 18:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Ormai da diversi anni, più precisamente con la sentenza numero 232/2012, la Corte costituzionale ha chiarito che, con il passaggio alla regolamentazione civilistica del trattamento di fine rapporto, l'indennità spettante ai dipendenti pubblici non è più calcolata considerando il 9,6% dell'80% della retribuzione, di cui il 7,2% a carico della pubblica amministrazione di appartenenza e il 2,5% a carico del dipendente. Il TFR, infatti, è già da diversi anni calcolato sul 6,91% della predetta percentuale ed è posto interamente a carico del datore di lavoro.

La pronuncia della Consulta, però, nel corso del tempo non ha sortito gli effetti sperati e numerosi enti hanno continuato a praticare il prelievo del 2,5% sulla busta paga dei dipendenti, senza considerare quanto chiarito ormai da diversi anni.

Ciò non vuol dire, tuttavia, che la Corte costituzionale non abbia parlato chiaro: l'articolo 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010 è costituzionalmente illegittimo "nella parte in cui non esclude l'applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall'art. 37, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato)". La trattenuta, insomma, contribuisce a formare il fondo di previdenza dell'Inps – ex Inpdap e di essa deve farsi carico il datore di lavoro, senza alcuna distinzione rispetto a quanto accade nel settore privato in forza del d.p.c.m. del 20 dicembre 1999.

Alla pronuncia del 2012, oltretutto, se ne è aggiunta anche una seconda con la quale la Consulta non ha affatto corretto il tiro, ovverosia la numero 244 del 28 ottobre 2014. Ma nulla si è smosso

Tuttavia, nonostante molte amministrazioni continuino a tapparsi occhi e orecchie, la conclusione è una sola e le trattenute che le pubbliche amministrazioni hanno continuato a praticare anche dopo il 2010 sono illegittime. I loro dipendenti, quindi, possono ottenerne la restituzione.

La giurisprudenza

Così ragionando, sono molti i lavoratori che hanno adito i tribunali per avere indietro dall'amministrazione di appartenenza tutto ciò di cui siano stati indebitamente privati.

E molte sono anche le pronunce che hanno sposato quanto sopra detto, non dando rilevanza all'assenza di un esplicito divieto di legge ma, anzi, condannando le PP.AA. di volta in volta convenute a restituire le somme indebitamente sottratte dalle buste paga dei dipendenti.

In tal senso sono andati, ad esempio, il Tribunale di Salerno, quello di Roma, quello di Treviso e, più recentemente, quello di Milano con sentenza numero 742 dell'11 marzo 2016, infliggendo un duro colpo alle amministrazioni pubbliche, controbilanciato da una grande vittoria per i loro dipendenti.

Chi ha diritto al rimborso?

Ma chi ha effettivamente diritto al rimborso?

Innanzitutto ci sono coloro che sono stati assunti dopo il 31 dicembre 2000 e che si trovano in regime di TFR.

Ad essi si affiancano, poi, i dipendenti che sono stati assunti prima di tale data e che si trovano in regime di TFS, i quali però hanno diritto al rimborso solo per il 2011 e il 2012. A seguito dell'illegittimità dell'articolo 1, commi 98 e 99, della legge numero 228/2012, infatti, le PP.AA. dovranno restituire anche il 2,69% a titolo di TFS mancante nel periodo transitorio, individuato nelle due predette annualità.

Il rimborso, si segnala, ha ad oggetto un credito esigibile assoggettato a prescrizione decennale.




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