Data: 28/11/2016 12:00:00 - Autore: Avv. Federica Federici

Avv. Federica Federici e Cesare Liguori - In data 01.09.2016, le Sezioni Unite della Suprema Corte risolvevano un quesito rimesso a loro con ordinanza n. 80 del 26 febbraio 2016 dalla II sezione penale della medesima corte, con la quale si cercava di chiarire una problematica di natura applicativa, riguardante il rilievo delle circostanze aggravanti nei criteri di determinazione della pena, più precisamente l'applicazione di circostanze aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale nella sospensione del processo con messa alla prova.

In precedenza, esistevano due orientamenti diversi:

a) Il primo riteneva che nell'ipotesi in cui si proceda per reati diversi da quelli indicati nell' art. 550 comma 2° c.p.p., il limite edittale si calcoli tenendo conto della aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (Cass. pen., Sez. VI, 30 giugno 2015, n. 36687), pertanto, con l'introduzione della c.d. messa alla prova, in mancanza di una normativa che disciplini la materia in oggetto, la soluzione interpretativa dovrebbe allinearsi con questa impostazione

b) Il secondo, avvalorato successivamente dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la Sent. n. 36272 del 01.09.2016 (qui sotto allegata), sosteneva il principio per il quale, il parametro contenuto all'interno dell'art. 168 bis c.p. che disciplina rispettivamente l'istituto della messa alla prova, si doveva riferire unicamente alla pena massima prevista per la singola fattispecie.

La normativa ex art. 168-bis c.p., prevede una "lista" di reati su un doppio binario, quantitativo e qualitativo, ma tuttavia non contenendo alcun riferimento circa la possibile incidenza di eventuali aggravanti al fine di identificare i reati che possono essere ricompresi nell'ambito dell'istituto della messa alla prova.

Tutto ciò premesso non può essere negata la natura accessoria delle circostanze, in quanto si aggiungono ad una fattispecie già costituita, anche nella forma del tentativo, adeguando il trattamento sanzionatorio alla gravità del reato, l'affermazione secondo cui la fattispecie circostanziata è dotata di una sua autonoma cornice edittale è sicuramente corretta se riferita alla struttura del reato, ma non sembra giocare un ruolo nell'interpretazione dell'art. 168-bis c.p.

Una volta stabilito che l'art. 168-bis cod. pen. quando richiama il comma 2 dell'art. 550 cod. proc. pen. lo fa solo in funzione dell'individuazione di altre fattispecie per le quali è ammesso il rito, la questione sulla rilevanza delle circostanze aggravanti ad effetto speciale e di quelle per le quali la legge prevede una pena di specie diversa risulta fortemente ridimensionata. Infatti, tra i reati indicati nel comma 2 dell'art. 550 e per i quali l'imputato può chiedere di essere ammesso alla prova, vi sono fattispecie incriminatrici descritte nella loro forma aggravata.

A questo punto sostiene la Suprema Corte, la soluzione che ritiene l'irrilevanza delle circostanze risulta confermata non solo dall'interpretazione letterale dell'art. 168-bis cod. pen., che pone in evidenza la mancanza di ogni riferimento agli accidentalia delicti, e dalla ricostruzione della voluntas legis, ma anche da un'interpretazione logico-sistematica, là dove si osservi che l'effetto di estendere l'ambito applicativo della messa alla prova a reati che possono presentare un maggiore disvalore trova piena giustificazione con il fatto che si tratta di un istituto che prevede, comunque, un "trattamento sanzionatorio" a contenuto afflittivo, non detentivo, che può condurre all'estinzione del reato. Tale carattere, infine, è confermato dall'art. 657-bis c.p.p, in cui si prevede che nel determinare la pena da eseguire in caso di fallimento della prova (a seguito di revoca o di esito negativo della messa alla prova) venga comunque detratto il periodo corrispondente a quello della prova eseguita.

In conclusione, con riferimento al quesito posto dall'ordinanza di rimessione, deve affermarsi il seguente principio di diritto:

"Ai fini dell'individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell'istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell'art. 168-bis c.p. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato".

Sistema di computazione della pena ex art. 63 c.p. [1]

L'art. 63 c.p. detta i meccanismi che guidano il giudice nella determinazione concreta della pena da irrogare quando si è in presenza di un fatto qualificato dalla sussistenza di circostanze omogenee (tutte aggravanti o tutte attenuanti) e tali regole trovano applicazione dopo che il giudice ha stabilito la pena base per il reato ai sensi dell'art. 133 c.p. La struttura della commisurazione della pena nel nostro sistema è quindi bifasica: prima si determina la pena entro i limiti edittali e poi si calcola su questa entità la variazione imposta dalla presenza della/e circostanza/e.[2]

Nel caso concorrano più circostanze omogenee ad effetto comune (del medesimo genere) esse determineranno un aumento (tutte aggravanti) o una diminuzione (tutte attenuanti) di pena non superiore ad un terzo (secondo comma art. 63 c.p.). Il giudice calcolerà un primo aumento o diminuzione sulla pena base del reato semplice, poi procede ad un secondo aumento o diminuzione determinati sulla base della pena ottenuta dal precedente aumento o diminuzione, e così continuando con altre circostanze, indifferentemente nell'ordine in cui si procede, non potendo l'applicazione cumulativa andare in ogni caso oltre i limiti previsti dagli artt. 66 e 67 c.p.

Nel caso concorrano più circostanze alcune ad effetto speciale o autonome ed altre ad effetto comune si applica il terzo comma dell'art. 63 c.p.: al giudice viene imposto di applicare preventivamente la circostanza ad effetto speciale o autonoma, utilizzandola come pena base e all'esito di tale operazione potrà applicare le circostanze attenuanti o aggravanti ad effetto comune (aumentando o diminuendo la pena in modo proporzionale mediante il meccanismo previsto da tale comma.

Diversamente dal cumulo materiale si procede ai sensi del quarto comma, quando ricorrono più circostanze ad effetto speciale o autonome: in questo caso il giudice è chiamato ad individuare la circostanza aggravante più grave tra quelle applicabili, che rappresenta la pena base da applicare e sulla quale si potranno calcolare ulteriori aumenti contestando eventuali circostanze autonome o ad effetto speciale, residue o meno gravi. La circostanza autonoma o a effetto speciale soccombente opererà come fosse una circostanza comune e quindi giustificherà un aumento della pena non superiore ad un terzo.

Il quinto comma indica il medesimo procedimento di computazione della pena di cui al comma quarto, laddove ricorrano più circostanze attenuanti ad effetto speciale o autonome.

Circostanze del reato

La fattispecie del reato si completa con le c.d. circostanze (etim. "circumstare") che rappresentano elementi accessori del reato, permettendo una sua migliore qualificazione e adattamento alla situazione concreta. La ratio sottesa alla previsione astratta delle circostanze si collega a quella del trattamento sanzionatorio che consente di variare in peius o in melius la pena proprio in virtù della valutazione delle stesse ad opera del giudice.

L'accessorietà delle circostanze non va valutata in senso assoluto (contenuto intrinseco dell'elemento circostanziale), ma in senso relativo e sistematico (profili connessi agli elementi interni alla fattispecie).

Tuttavia, l'operazione di distinguere le circostanze del reato dai suoi elementi costitutivi non è affatto agevole. Oltre al criterio logico di "genere" a "specie", soccorrono all'interprete ulteriori indicatori quali il nomen juris, i precedenti storici, la rubrica legislativa, la posizione della circostanza nella struttura del reato.[3]

Parte della dottrina ritiene che se le circostanze comuni rispondono alla esigenza di attribuire al giudice il potere discrezionale di commisurare la pena tra un minimo ed un massimo, quelle ad effetto speciale costituiscono – di contro – il portato di una valutazione di minore o maggiore gravità da individuare quando si dovrà applicare la norma (DE VERO). Altra corrente, nella comparazione delle due tipologie, dissentendo da questo orientamento, si richiama al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.

Messa alla prova [4]

La Legge n. 67 del 28 aprile 2014, in GU n. 100 del 2 maggio 2014, ha introdotto - nella sua seconda parte - l'istituto di diritto sostanziale della messa alla prova, con la previsione e l'inserimento nel codice penale degli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater, istituto che può essere fatto rientrare, a pieno titolo, nella cause di estinzione del reato (come si ricava inequivocabilmente dal tenore del comma 2 dell'art. 168 ter, laddove la norma fa riferimento agli effetti dell'esito positivo della prova).[5]

La sospensione del processo con messa alla prova nei confronti dei minorenni è regolata dagli artt. 28 e 29 del d.P.R. 448/1988, norme la cui ratio è di offrire una reale alternativa al carcere dai contenuti fortemente rieducativi e adeguati alla personalità del minore autore di reato. Il beneficio è applicabile nei confronti di minori imputati di reati di qualsiasi gravità ed a prescindere da un'esplicita dichiarazione di responsabilità in merito al fatto commesso e l'esito positivo della prova comporta l'estinzione del reato. Oggi con l'introduzione della disciplina del c.d. probation, l'istituto è applicabile anche ai maggiorenni. Anche la messa alla prova per i maggiorenni è applicabile a prescindere da una pronuncia sulla responsabilità dell'imputato e in una fase anticipata del procedimento (fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p. o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio, oppure ancora entro il termine e con le forme stabilite dall'art. 458, comma 1, c.p.p. se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, o con l'atto di opposizione, nel procedimento per decreto, come prevede l'art. 464bis c.p.p).

La disciplina di tale istituto comporta tuttora alcune lacune, in parte dovute all'ampia discrezionalità attribuita al giudice nella valutazione sull'applicabilità o meno della 'messa alla prova' e alla assenza, nelle norme citate, di indicazioni precise e univoche sul contenuto e sui presupposti dell'istituto.

I presupposti impliciti della 'messa alla prova', sono l'accertamento della responsabilità penale dell'imputato rispetto al fatto per cui si procede, la prognosi favorevole circa l'evoluzione della sua personalità attraverso il 'progetto di intervento' attuabile nei suoi confronti.[6]

Il giudice dispone la misura con ordinanza, su richiesta dell'imputato, qualora vi sia il consenso del pubblico ministero (art. 463ter c.p.p.), sentita la persona offesa, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p. e la dispone quando, in base ai parametri di cui all'art. 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritenga che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. La messa alla prova non può essere concessa più di una volta e nei casi di abitualità, professionalità nel reato o di tendenza a delinquere (artt. 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.).

La preferenza per la sospensione condizionale della pena appare invece più percorribile se si considera che la messa alla prova è misura sospensiva dai contenuti anche piuttosto afflittivi, comportando la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato; ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato; l'affidamento dell'imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma; la prestazione di un lavoro di pubblica utilità (svolgimento di una attività non retribuita a favore della collettività, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato e da svolgersi con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato).

Ai sensi dell'art. 464bis c.p.p. L'imputato che presenti l'istanza di sospensione e messa alla prova - oralmente o per iscritto, personalmente o per mezzo di procuratore speciale con sottoscrizione autenticata (ex art. 583, comma 3, c.p.p.) - deve allegare un programma di trattamento elaborato d'intesa con l'ufficio di esecuzione esterna; oppure, ove non sia stato possibile presentare detto programma, l'imputato può allegare la richiesta di elaborazione del predetto programma. Tale programma deve essere sufficientemente dettagliato, deve prevedere cioè: a) le modalità di coinvolgimento dell'imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale; c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa.[7]



[1] Normativa di riferimento oltre l'art. 63 c.p. L. 1974/220; L. 1984/400, L. 2005/251.

[2] Nella versione originaria della norma esse erano quelle per le quali il legislatore aveva previsto una pena di specie diversa rispetto a quella prevista per il reato base (c.d. circostanze autonome) o della stessa specie ma determinandole in modo indipendente dalla pena per il reato semplice (c.d. circostanze indipendenti che nella norma attuale non esistono più e sono oggetto di interpretazione oggi piuttosto ampia e dibattuta tra coloro chele qualificano tali quando la variazione della pena è pari o inferiore a un terzo altrimenti sono circostanza ad effetto speciale e coloro che ritengono la distinzione solo artificiosa e rientrano tute nel terzo comma dell'art. 63 c.p.).

[3] Dello Iacovo e De Leo in Temi di diritto penale, Giuffrè, novembre 2006, , pp.461 e ss..

[5] http://www.altalex.com/documents/news/2014/06/27/sospensione-del-processo-con-messa-alla-prova-prime-riflessioni-sull-istituto;

[6] Tanto che "dottrina e giurisprudenza hanno rilevato il pericolo che dalle inevitabili incertezze interpretative derivino discriminazioni e disuguaglianze applicative. Allo scopo di colmare le lacune lasciate dal legislatore e di circoscrivere l'operatività della misura in esame, si è quindi pervenuti all'individuazione di ulteriori presupposti, che appaiono implicitamente ricavabili dalla disciplina legislativa" - http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/2983-sospensione_del_processo_e_messa_alla_prova_anche_per_i_maggiorenni/ contributo di M. Miedico

[7] BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE. Sulla messa alla prova in ambito minorile: F. Bricola, Riforma del processo penale e profili di diritto penale sostanziale, in Studi in memoria di Pietro Nuvolone, Il nuovo processo penale - Studi di diritto straniero e comparato, Vol. III, Giuffrè, 1991, pp. 87 e ss. e in Ind. pen. 1989, pp. 338 e ss.; G. Fumu, Le difficile scelte del legislatore minorile tra accertamento, educazione e sanzione, in AA.VV., Questioni nuove di procedura penale - Le riforme complementari, Il nuovo processo minorile e l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario, Cedam, 1991, p. 70; A. Ghiara, La «messa alla prova» nella legge processuale minorile, cit., p. 88; M. G. Basco, S. De Gennaro, op. cit., p. 16; S. Larizza, Il diritto penale dei minori. Evoluzioni e rischi di involuzione, Cedam, Padova, 2005; M. Miedico, La sospensione del processo e messa alla prova tra prassi e prospettive di riforma, in Cass. pen., 2003, p. 2648; M. Miedico, La confessione del minore nella 'sospensione del processo e messa alla prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 1292; L. Scomparin, Sospensione del processo minorile e "messa alla prova": limiti di compatibilità con i riti speciali e altri profili processuali dopo l'intervento della Corte costituzionale, in Legisl. pen. 1995, p. 512; D. Spirito, Principi e istituti del diritto penale nel nuovo processo a carico di imputati minorenni, in Giust. pen. 1990, III, p. 137 ss. Sulla misura applicabile ai maggiorenni: F. Viganò, Sulla proposta legislativa in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1300; F. Caprioli, Due iniziative di riforma nel segno della deflazione: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato maggiorenne e l'archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Cass. pen., 2012, p. 7.


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