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Data: 28/11/2016 09:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Carcere e non pena pecuniaria per il padre che si è disinteressato completamente del figlio senza mai versare l'assegno in favore del minore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 50075/2016 (qui sotto allegata), con cui il collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un padre confermando la condanna comminatagli dalla Corte d'Appello a sette mesi di reclusione, 600 euro di multa e risarcimento del danno in favore della parte civile, con provvisionale di 60mila euro. Il ricorrente, imputati del reato di cui all'art. 570 (Violazione degli obblighi di assistenza familiare), è accusato di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore, non avendo mai corrisposto la somma mensile stabilite per il suo mantenimento, né l'importo a titolo di contributo per le spese sostenute dalla madre del ragazzo, così privando lo stesso anche della dovuta assistenza morale "non essendosi mai interessato a lui e avendolo visto solo due volte nel corso del primo anno di vita". Il ricorso, tuttavia, è solo una pedissequa ripetizione delle identiche doglianze poste a base dell'impugnazione formalizzata innanzi alla Corte territoriale e dalla stessa motivatamente disattese. Conferma l'attendibilità della parola della teste (la ex) costituitasi parte civile, i giudici di Cassazione precisano che essendo stato il reato ascritto in danno di soggetto minorenne, lo stato di bisogno di quest'ultimo è in re ipsa, salva la sussistenza di elementi concreti idonei a consentire il superamento della relativa presunzione. Ne discende che la deposizione della madre del minore, circa il ricorso all'aiuto di terzi per far fronte alle esigenze del figlio, lungi dall'essere insufficiente, come sostiene il ricorrente, altro non fa che corroborare ulteriormente la presunzione anzidetta. Quanto alla mancata sostituzione della pena detentiva inflitta con la corrispondente pena pecuniaria, si precisa che, ai fini della sostituzione, "il giudice ricorre ai criteri previsti dall'art. 133 c.p.; tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sia discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l'inefficacia della sanzione". Neppure trova spazio la censura relativa alla quantificazione della provvisionale, poichè la giurisprudenza di Cassazione rammenta che "il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, non è impugnabile per Cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento".
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