Data: 02/12/2016 12:30:00 - Autore: Carlo Bruno Vanetti

Prof.Avv.Carlo Bruno Vanetti -�

1. La disciplina italiana delle insolvenze ha mantenuto come suo riferimento la Legge Fallimentare del 1942, la quale aveva 266 articoli nel 1942 e porta ancora oggi la numerazione da 1 a 266. E nella sua struttura continua a collocare come centro d'attenzione il commerciante persona fisica che cessa i pagamenti e viene estromesso repentinamente dal mercato, con la conseguente liquidazione frammentaria e dispersione del suo residuo patrimonio.

Ma forse a breve i progetti che stanno maturando in materia concorsuale comporteranno un completo restatement degli strumenti giuridici per intervenire su un'impresa in crisi.

2. In realt� la legge fallimentare, creata da una costola del Codice di Commercio 1882, in un momento in cui la situazione economico-politica era ben diversa, ha iniziato presto a subire modifiche e integrazioni, nella forma e nella prassi.

Prima per l'incidenza della normativa costituzionale, in particolare gli articoli 3 e 24 (si veda l'obbligo di convocazione del fallendo, la reclamabilit� dei provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, la decorrenza dei termini dalla effettiva conoscenza�).

Poi, per l'emergere dell'uso alternativo delle procedure concorsuali - quali strumenti per salvare l'impresa, impedendone o diluendone nel tempo il dissolvimento - , (riassumibile nella "trilogia di Avellino", ossia nella prassi, invalsa presso molti tribunali, di arrivare al fallimento solo dopo tentativi infruttuosi, prima di amministrazione controllata e poi di concordato).

Al contempo, dal 1979 in poi, con l'assoggettamento delle grandi imprese e dei gruppi insolventi ad una procedura speciale (la c.d. Legge Prodi), pi� autoritaria e al contempo conservativa (seppur con frequente pregiudizio dei creditori pregressi).

Infine, dal 2005, per una successione pressoch� ininterrotta di novelle (la prima, pi� vistosa, intitolata pomposamente "riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali", modificava oltre 100 articoli della legge fallimentare), alla insegna della "de-giuridizionalizzazione", "privatizzazione", "depotenziamento" (degli effetti del fallimento sul soggetto fallito e sugli atti da lui compiuti nel periodo sospetto), e, sempre pi�, della continuit� aziendale.

La rigida struttura della legge fallimentare non consentiva invece di inglobare nel suo testo un'altra importante novit�: l'assoggettamento ad un regime concorsuale, con la possibilit� di esdebitazione, anche degli imprenditori non fallibili e del debitore civile; era cos� al contempo emanata una normativa a latere, data dalla legge 3/2012 sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento.

3. La disciplina del 2005-6, ed i continui suoi successivi aggiustamenti di rotta, hanno creato numerosi articoli "bis, ter, quater" (sino al 182-septies) e aggiunto commi ad altri (si veda il 67 LF , ma ancor pi� i dieci commi dell'articolo 161), nel complesso tornando progressivamente (e specie dal Decreto Sviluppo del 2012) a gravare il giudice di compiti ancor pi� onerosi e sostanziali, di quelli che gli erano stati tolti: in particolare, per le numerose ipotesi di autorizzazione ad atti straordinari nelle procedure con continuit� aziendale e per la crescente casistica in tema di prededuzioni e consecuzione di procedure.

4. Il legislatore creava, al contempo, una serie di interrelazioni tra il diritto concorsuale e quello societario, sino a sospendere, in caso di procedura concorsuale e di deficit patrimoniale, l'operare della tradizionale regola "ricapitalizza o liquida", ed a modificare, a giudizio di molti interpreti, i compiti degli organi di controllo ed i doveri degli organi di gestione.

Si trattava pur sempre tuttavia di "innesti", che non potevano incidere sulla struttura organizzativa di fondo, che restava in sintesi: a) libert� del debitore di pregiudicare o lasciar progressivamente decadere la sua azienda, ignorandone lo stato di crisi, tentando operazioni ad alto rischio o liquidandola a sua discrezione; b) assoggettamento meramente volontario a procedure alternative al fallimento, od al fallimento stesso (senza obbligo di ricorrervi); c) impostazione contrattualistica, per cui la esistenza e le sorti dell'impresa, individuale o collettiva, sono strumentali alla volont� delle parti e una mera articolazione dell'attivit� del soggetto imprenditore, individuale o collettivo.

5. La necessit� di non limitarsi a sparse modifiche, ma procedere a scelte coerenti di pi� ampio respiro, continuava tuttavia ad esser percepita.

Sin dai primi anni 80 del secolo scorso (progetto Pajardi), si era ipotizzato di organizzare gli interventi nei confronti di un'impresa insolvente su pi� tappe, delle quali la prima era una fase di moratoria, legata alla mera crisi, individuata nella insufficienza del margine operativo (MOL o EBITDA, incapacit� di coprire i costi ordinari con i ricavi ordinari di gestione). e tentativo di salvataggio dell'impresa in base ad un piano di risanamento, affidato tuttavia alla tradizionale procedura di amministrazione controllata (nella quale l'unico effetto esdebitatorio era la dilazione anche pluriennale dei pagamenti � senza rivalutazione - e la riduzione degli interessi).

Seguiva una fase di accertamento, anche d'ufficio, dell'insolvenza con scelta della successiva procedura, ed infine l'accesso alla specifica procedura, liquidatoria o risanatoria (concordato, fallimento, liquidazione coatta, amministrazione straordinaria).

Lo schema cos� ipotizzato, malgrado il Progetto Pajardi non abbia avuto fortuna, � servito da traccia per la revisione, nel 1999, della legge Prodi, che da allora adotta un procedimento bifasico., e in ultima analisi si ritrova ora nel progetto Rordorf.

Per la riforma delle altre procedure, si conferiva l'incarico ad un gruppo di esperti, la Commissione Trevisanato, che per prima, sulla suggestione di modelli stranieri, ipotizzava la adozione di "istituti di allerta e di prevenzione", destinati a far emergere lo stato di crisi su iniziativa delle amministrazioni pubbliche e degli organi di controllo, e la creazione di organismi di supporto per la soluzione della crisi. .
La difficolt� di trovare un accordo sul documento finale aveva tuttavia fatto s� che tale commissione, nel giugno 2003, invece di consegnare un testo da sottoporre al Parlamento, generasse due progetti, uno di maggioranza e uno di minoranza.

Tra i punti di maggior attrito vi era quello del ruolo da riservare al giudice: mero controllore di legittimit�, subordinato alla posizione dei creditori e del curatore/commissario; o invece elemento propulsore, capace di intervenire anche nel merito delle soluzioni proposte, valendosi eventualmente di consulenti tecnici che lo affianchino?

Dilemma che, ancor oggi, invece di essersi risolto, continua a porsi ed a gettare nubi sulle recenti prospettive di riforma.

Ma veniamo alle ultime vicende.

6. Come abbiamo ricordato, il Governo incaricava, nel gennaio 2015, una commissione presieduta da Renato Rordorf di riprendere il progetto di radicale ed organica riforma della legge fallimentare del 1942.

La commissione lavorava intensamente, muovendosi sulle tracce dei progetti Trevisanato (con le loro varianti), ed elaborando un testo di legge delega molto dettagliato e altrettanto vincolante per il successivo decreto (o decreti).

Cercava al contempo di mantenere ove possibile le principali novit� introdotte dalla copiosa normativa pi� recente, la quale in alcuni casi, a sua volta, nel frattempo "plagiava" il lavoro in itinere della commissione Rordorf, adottando misure che la stessa stava definendo (come le disposizioni del 2015 sulle proposte ed offerte concorrenti, o quelle pi� recenti sul pegno non possessorio, sul patto marciano, sulla cessione dei crediti in contestazione).

Nel dicembre 2015 la Commissione consegnava i suoi lavori (schema di legge delega e relazione).

Il Governo ne prendeva atto e, apportatevi alcune limitate (ma significative!) integrazioni, il 10 febbraio 2016 licenziava il disegno di legge n. 371 intestato "Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza".

Lo schema segue le indicazioni date dal Ministro della Giustizia nel decreto che istituisce la Commissione, che evidenzia la necessit� di

  • valutare e coordinare le "modifiche normative susseguitesi in materia di procedure concorsuali e crisi d'impresa ovvero da sovraindebitamento",
  • curando "specifici approfondimenti della disciplina dei privilegi e delle garanzie",
  • valutando le ricadute della normativa comunitaria e
  • l'opportunit� di "introdurre una specifica disciplina nazionale dell'insolvenza di gruppo",
  • accelerando e rendendo pi� proficue le procedure tramite

. il ricorso a modalit� telematiche,

. la possibilit�, nel concordato, di proposte e piani concorrenti,

. la razionalizzazione della formazione delle classi,

. la riduzione delle prededuzioni,

. la facilitazione del ricorso alla procedura di sovraindebitamento,

Tali indirizzi divengono "principi generali"espressi nell'art. 2 del disegno di legge, ove si dispone anche di

  • sostituire il termine "fallimento" e derivati con "liquidazione giudiziale" o "insolvenza";
  • introdurre una definizione dello stato di crisi , intesa come "probabilit� di futura insolvenza";
  • adottare un unico modello processuale, sullo schema della istruttiria prefallimentare di cui all'art. 15 L.F., per accertare lo stato di crisi o di insolvenza;
  • assoggettare a tale accertamento qualunque categoria di debitore;
  • trattare prioritariamente le soluzioni conservative della continuit� aziendale, riservando le soluzioni liquidatorie al fallimento;
  • assicurare la specializzazione dei giudici,
  • responsabilizzare gli organi di gestione,
  • ridurre le spese della procedura (inclusi i compensi dei professionisti prededucibili);
  • armonizzare le soluzioni con le forme di tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori di cui alla Carta Sociale e direttive europee;
  • in genere, modificare ove necessario anche la formulazione delle norme non direttamente investite dalla delega, ai fini di armonizzazione del dettato normativo.

Questi principi vengono poi esposti in dettaglio in 14 successivi articoli, a loro volte composti di numerosi commi e lettere, tra le cui rubriche ricordiamo "gruppi di imprese", "procedure di allerta e di composizione assistita della crisi", "procedura di concordato preventivo", "procedura di liquidazione giudiziale", "sovraindebitamento", "privilegi", "modifiche al codice civile", "amministrazione straordinaria" (l'articolo 15, relativo a quest'ultima, veniva poi stralciato e fatto oggetto del disegno n. 3671-ter).

Notiamo, in particolare, che compare un articolo sulle procedure di allerta (cui si collegano anche nuovi doveri di monitoraggio da parte degli organi sociali e dell'imprenditore in genere), le quali non erano espressamente menzionate nei principi n� nei compiti affidati alla Commissione Rordorf (ma solo nelle relazioni di accompagnamento).

7. Il quadro che si presenta pu� riassumersi come segue.

Le procedure concorsuali tradizionali restano, modificando la denominazione di "fallimento" in "liquidazione giudiziale", e con esse resta la nozione di insolvenza di all'art.5 L.F.: i concordati sono destinati alle ipotesi di continuit� aziendale, la liquidazione giudiziale alle soluzioni liquidatorie.

Verranno aggiunte a) la "procedura di allerta e di composizione assistita della crisi" e b) una fase preliminare giudiziale e comune a pi� possibili procedure.

La procedura di allerta [a) di cui sopra] � confidenziale e stragiudiziale, ed ha come presupposto l'esistenza di uno stato di crisi iniziale, che evidenzi un pericolo di futura insolvenza (e che se conosciuta, potrebbe spesso legittimare anche dei terzi a ricorrere al tribunale, proponendo un accertamento giudiziale dello stato di crisi).

In caso di insuccesso o impossibilit� di procedere ad una composizione stragiudiziale della crisi, si avr� un accertamento giudiziale dello stato di crisi (che nel frattempo potrebbe essere divenuto insolvenza), con un provvedimento del tribunale che d� inizio ad una fase (o distinta procedura) giudiziale "di osservazione" [b)].

Nella fase di osservazione, il Tribunale valuta in contraddittorio con tutti gli interessati la possibilit� di mantenere la continuit� aziendale e proporre ai creditori un accordo (similmente a quanto ora avviene nella amministrazione straordinaria ex D.Lgs.270/1999, che tuttavia presuppone una crisi qualificata e divenuta insolvenza).

Dalla fase comune di osservazione, applicabile anche ai debitori non commerciali o non fallibili, prende origine, tendenzialmente senza soluzione di continuit�, n� quindi necessaria convocazione del debitore, [c)] un fascio di procedure diverse, ossia quella di volta in volta pi� adatta alla situazione economico patrimoniale ed alla dimensione e tipologia dell'impresa (sovraindebitamento, piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato in continuit�, liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria ordinaria o speciale, con programma di cessione o di ristrutturazione).

8. La struttura complessiva delle procedure dovrebbe quindi articolarsi secondo una serie di tentativi, organizzati idealmente, anche contro la volont� del debitore, secondo la scala che segue.�

- In presenza di crisi iniziale (o sintomi di crisi, o pre-crisi, rischio di futura insolvenza: forse anche un semplice calo di redditivit�):

  • misure di allerta e di composizione assistita
  • crisi avanzata o insolvenza iniziale, reversibile:
  • Fase di osservazione, previo accertamento giudiziale dello stato di crisi, preordinata anzitutto a trovare una soluzione con continuit� aziendale.

In caso di mancato sbocco in concordato in continuit�, accordo ex art.182-bis, amministrazione straordinaria con ristrutturazione (per le grandi imprese), - o fatti straordinari che incidano sulla redditivit� aziendale - la crisi diverr� irreversibile e si potr� avere la situazione di dissesto.

-�dissesto:

  • liquidazione giudiziale (ex fallimento, un po' velocizzato per le comunicazioni, i reclami, il realizzo dell'attivo ed i pagamenti)

Ed ora alcune osservazioni.

9. Per effetto del nuovo modello di intervento sulle crisi d'impresa, e in particolare della procedura di allerta, acquister� piena rilevanza ai fini legali lo stato di crisi o pericolo di insolvenza.

Lo stato di crisi � in prima battuta sovrapponibile alla continuit� aziendale di cui al principio di revisione 570, ma il legislatore delegato ne dovr� dettare una definizione pi� precisa, pi� basata su dati oggettivi e meno su stime, distinguendo tra

rischio (ovvero indizi) di futura insolvenza e probabilit� di insolvenza, cui corrisponder� rispettivamente una situazione di allarme ed allerta e un accertamento giudiziale dello stato di crisi, con inizio della fase di osservazione.

Al contempo vi sar� il dovere (sanzionabile anche penalmente!) per l'imprenditore o gli organi sociali di accertare tempestivamente i sintomi della incombente crisi (gi� la "pre-crisi" o "possibilit�"di insolvenza) e, se necessario per evitare la cessazione dell'attivit� aziendale, di ricorrere alla procedura di composizione assistita della crisi o direttamente alle normali procedure concorsuali.

10. Concludo rilevando che, in tal modo, viene meno la tradizionale libert�, per gli amministratori, di decidere le loro scelte di gestione, col solo limite di agire informati ed evitare le operazioni manifestamente irragionevoli (c.d.business judgement rule).

Da tali prerogative si poteva far derivare che di fronte ad una crisi (se il capitale � ancor salvo) possano restare legittimamente inerti, proseguendo con l'ordinaria amministrazione o limitandosi a mettere in liquidazione la Societ�.

Tale libert� di scelta � sulla scia peraltro di un trend da qualche tempo in atto - pare destinata a venir definitivamente sostituita dall'obbligo (esteso a tutti gli imprenditori) di effettuare in buona fede la scelta, anche straordinaria, comparativamente pi� ragionevole, valendosi anche di esperti, nell'ottica della continuit� aziendale e approfittando delle nuove forme di tutela.

Con la possibilit� che, in mancanza, il tribunale ammetta autonome iniziative di terzi e persino conferisca ad un amministratore giudiziale i poteri degli organi societari, inclusa l'espressione della volont� assembleare, con compressione dei normali diritti dei soci.

Parrebbe cos� emergere una visione decisamente istituzionalistica o sociale della persona giuridica e della stessa attivit� d'impresa, almeno in caso di insolvenza, superando le istanze di "privatizzazione" di cui alla riforma del 2005-2006.�

Prof. Avv. Carlo Bruno Vanetti

Associato nell'Universit� di Pavia

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