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Data: 12/12/2016 21:30:00 - Autore: Marina Crisafi di Marina Crisafi – Nei casi giudiziari di particolare gravità e il cui iter si è concluso da poco tempo, non si può invocare il diritto all'oblio, perché a prevalere è "l'interesse pubblico a conoscere le notizie". È questa la motivazione con cui il Garante della privacy (newsletter n. 422 del 12 dicembre 2016) ha ritenuto infondata la richiesta di deindicizzazione di alcuni articoli presentata da un ex consigliere comunale coinvolto in un'indagine per corruzione e truffa iniziata nel 2006 e conclusa nel 2012 con un patteggiamento. In seguito al no da parte di Google di deindicizzare gli articoli che mostravano il suo nome e cognome facendo riaffiorare i suoi legami con l'indagine, l'ex politico aveva adito il Garante chiedendone la rimozione. La permanenza in rete di notizie, risalenti a un decennio precedente "e ormai prive di interesse – riteneva l'uomo – avrebbero arrecato infatti un danno alla sua immagine, alla vita privata e all'attuale attività lavorativa". L'autorità di Antonello Soro però non la pensa allo stesso modo e nel rigettare la richiesta ha rilevato come "sebbene il trascorrere del tempo sia la componente essenziale del diritto all'oblio, questo elemento incontra un limite quando le informazioni di cui si chiede la deindicizzazione siano riferite a reati gravi e che hanno destato un forte allarme sociale". In tali casi, le richieste vanno valutate con minor favore e comunque analizzate caso per caso. Nella fattispecie, nonostante fosse trascorso diverso tempo dai fatti, la definizione del processo era arrivata solo pochi anni prima e la riattualizzazione della notizia da parte di alcuni siti dimostrava come l'interesse dell'opinione pubblica fosse "ancora vivo e attuale". |
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