Data: 18/12/2016 19:20:00 - Autore: Avv. Emanuela Foligno

Avv. Emanuela Foligno – Nella impeccabile ordinanza in commento, n. 17407/2016, relatore Dott. Marco Rossetti, la Cassazione ha cristallizzato i criteri che presiedono al calcolo del danno differenziale ed ha affrontato la problematica inerente la possibilità che il diritto al risarcimento del danno biologico possa, o meno, essere decurtato in misura pari alla somma pagata dall'INAIL a titolo di indennizzo del pregiudizio alla capacità di lavoro, quando un simile danno dal punto di vista civilistico non sussista.

La vicenda approda in Cassazione dalla Corte d'Appello di Brescia (Sentenza n. 1098/2013) che è stata chiamata a decidere su un sinistro stradale ove la vittima ha ricevuto dall'Inail l'indennizzo dovutogli.

Nel giudizio proposto dalla vittima nei confronti del responsabile è intervenuto l'Istituto che ha formulato azione di surroga ex art. 1916 c.c. nei confronti dello stesso responsabile.

La Corte d'Appello ha condannato quest'ultimo al pagamento in favore della vittima del danno aquiliano. Tale importo è stato poi dimezzato ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1, dopodichè è stato sottratto il valore capitale della rendita e le altre somme pagate dall'Inail esclusi gli importi sostenuti dall'Istituto in favore della vittima a titolo di spese mediche.

La vittima impugna la decisione di secondo grado e ricorre in Cassazione per errata applicazione dell'art. 1916 c.c. e dei criteri di calcolo del danno differenziale.

Gli Ermellini prima di analizzare i motivi di impugnazione precisano che la surrogazione dell'assicuratore ex art. 1916 c.c. è una successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento spettante all'assicurato e se l'assicuratore sociale "in forza della speciale legislazione che ne disciplina i doveri, è tenuto ad indennizzare obbligatoriamente un pregiudizio che, dal punto di vista civilistico, la vittima non risulta avere subito, per il relativo importo non può esservi surrogazione".

Per il calcolo del danno differenziale, applicando tali principi, ne deriva che in caso di danno biologico permanente la nozione civilistica coincide con quella assicurativa (Artt. 138 c.d.a. e 13 D.Lgs. 38/2000) e quindi bisogna sottrarre dal credito risarcitorio civilistico l'importo pagato dall'Inail per la stessa voce.

Se, invece, l'Inail corrisponde al danneggiato (per invalidità permanente superiore al 16%) una rendita, per calcolare il danno biologico permanente differenziale bisognerà: " (a) determinare il grado di invalidità permanente patito dalla vittima e monetizzarlo, secondo i criteri della responsabilità civile, ivi inclusa la personalizzazione o danno morale che dir si voglia, attesa la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale; (b) sottrarre dall'importo sub (a) non il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di rendita che ristora il danno biologico (come già ritenuto da questa Corte: Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 26.6.2015)".

L'indennizzo pagato dall'Inail per l'inabilità temporanea o per le spese mediche non deve essere detratto dal credito risarcitoria in capo alla vittima poiché si tratta di voci di danno differenti.

Enunciati tali criteri la Suprema Corte evidenzia che la decisione resa dalla Corte d'Appello di Brescia è del tutto errata poiché è stato sottratto dall'importo del risarcimento per danno non patrimoniale (biologico) l'importo pagato dall'Inail alla vittima sia a titolo di danno patrimoniale per incapacità lavorativa sia il danno patrimoniale da inabilità temporanea.

Ed infatti le motivazioni di ricorso della vittima erano finalizzate a stabilire se il Giudice del merito possa liquidare il danno biologico tenendo conto di quanto già pagato alla vittima da parte dell'Istituto a titolo di retribuzioni non percepite o spese mediche.

La Corte risponde negativamente articolando due motivazioni. La prima motivazione risiede nell'art. 142 c.d.a. il quale sancisce il principio di intangibilità del diritto al risarcimento del danno biologico da parte dell'assicuratore sociale, salvo che lo stesso abbia indennizzato il medesimo pregiudizio. L'altra ragione è endogena all'interpretazione dell'art. 1916 c.c. come recepita dalla Corte Costituzionale laddove ha dichiarato che è illegittimo l'art. 1916 c.c. nella parte in cui consente all'assicuratore sociale di avvalersi nell'azione di surroga anche delle somme dovute dal responsabile alla vittima a titolo di risarcimento del danno biologico.

In altri termini, le somme (già incamerate dalla vittima) inerenti le retribuzioni non percepite e/o le spese mediche, l'Inail deve pretenderle in refusione dal terzo responsabile e non può defalcarle dal danno biologico dovuto alla vittima.

All'Inail, dunque, spettano a titolo di surrogazione nei confronti del responsabile "le somme pagate a titolo di danno patrimoniale nella misura in cui quest'ultimo abbia effettivamente causato un danno patrimoniale, e fino al limite di quest'ultimo". Ne deriva che il responsabile dovrà risarcire il danno biologico alla vittima e sarà tenuto a rivalere l'Inail del danno patrimoniale effettivamente causato alla vittima stessa.

I Giudici di Legittimità evidenziano che i criteri di calcolo di cui alla pronunzia della Corte d'Appello di Brescia impugnata conducono paradossalmente a fare pagare al responsabile una sola voce di danno piuttosto che due.

Infine, si riporta l'interessante e pregevole obiter della Suprema Corte in risposta all'eccezione svolta dall'Inail: "Questa Corte ha la funzione di nomofilachia assegnatale dall'art. 65 ord. giud., e la funzione di nomofilachia è assolta quando sulla questione oggetto del contendere esista anche solo un precedente. La giurisprudenza di legittimità non si misura "a peso", e non è consentito distinguere tra questioni su cui esistono precedenti numerosi, e questioni decise una volta soltanto. Le une come le altre sono questioni "decise dalla Corte", e sulle quali dunque non è consentito ridiscutere in iure, salva ovviamente l'istanza di rimessione alle Sezioni Unite nel caso di contrasti, da proporre nei dieci giorni di cui all'art. 376 c.p.c., comma 2. Se così non fosse, si perverrebbe ad un duplice paradosso: - da un lato, decisioni di legittimità fondamentali ma isolate a causa della rarità della fattispecie concreta (si pensi alla nota vicenda della scelta di rifiutare l'accanimento terapeutico, manifestata dal tutore dell'incapace) finirebbero per perdere l'importanza di "precedente", con sostanziale svilimento del ruolo di questa Corte; - dall'altro lato, diverrebbe impossibile stabilire oltre quale soglia numerica un orientamento di legittimità potrebbe dirsi "consolidato", sì da far scattare la procedura di cui all'art. 375 c.p.c. (due precedenti? dieci? venti? ad libitum?)".

Il ricorso della vittima è stato accolto e rinviato alla Corte d'Appello di Brescia in diversa composizione.


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