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Data: 28/12/2016 19:30:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani di Paolo M. Storani - E' mai possibile che si possa vincere una causa di risarcimento danni ed essere contestualmente condannati a pagare le spese legali alla parte soccombente in misura superiore al danno liquidato? E se l'esito positivo (la domanda accolta) del processo si tramuta in sconfitta, allora l'applicazione della norma (art. 91 c.p.c.) porta forse ad un tale paradosso che può essere utile ricorrere a Franz Kafka: infatti, si legge ne "Il processo" che "la giusta comprensione di una cosa e il fraintendimento della stessa cosa non si escludono del tutto a vicenda". La norma vuole forse scoraggiare il contenzioso, ma ciò vuol dire che, in caso di formulazione di una proposta da parte del giudice, non si può che accettarla? Sembra proprio che il legislatore abbia peccato di superficialità laddove, da un lato, non ha previsto un analogo regime sanzionatorio per il convenuto (nel caso in cui abbia rifiutato una proposta conciliativa pari o inferiore al contenuto della sentenza), dall'altro, ha di fatto trasformato i tentativi di conciliazione in un vero e proprio dovere di una delle parti, con un evidente squilibrio. Per non parlare del fatto che la proposta conciliativa, fatta in sede giudiziale, rischia di trasformarsi in una anticipazione del giudizio quando, come nel caso che stiamo per esaminare, al suo rifiuto segue una condanna alle spese di chi non l'ha accettata. Ma veniamo al caso di specie. Esiste qualcosa di più personale dell'immagine e della dignità dell'individuo?
E in che cosa consiste il concetto giuridico di reputazione? Nessun dubbio può sussistere in ordine alla loro rilevanza e meritevolezza a mente dell'art. 10 c.c., dell'art. 96 della Legge n. 43/1991, del Decreto Legislativo n. 196/2003 sulle modalità di raccolta dei dati personali, e dell'art. 185 c.p.. Qual è, infine, il criterio per la liquidazione del danno non patrimoniale conseguente alla loro lesione? Comprensibile che la magistratura, onusta di controversie arretrate, voglia scoraggiare il proliferare di siffatte richieste. Per raccontare la storia di un amletico processo, quello deciso dal Tribunale di Ferrara il 19 ottobre 2016, magari apparentemente bagatellare (ma forse nessuna storia processuale è trascurabile per chi la vive sulla propria pelle), bisogna ricercare le parole precise. Né troppe, né poche, ma parole di una calibrata consistenza. Importante è l'equilibrio, la giusta misura tra il caricare e il togliere. 1. L'attore La storia che sto per raccontare ha inizio il 20 luglio del 2013 e la scena di avvio del film (regista potrebbe essere Mario Monicelli, interprete il mai troppo rimpianto Ugo Tognazzi) è ambientata ai Lidi Ferraresi, nella casa delle agognate vacanze del protagonista, che frequenta quella zona da oltre 17 anni (e dopo questo fatto porrà addirittura in vendita l'abitazione!). Diventerà l'attore del processo. Pare di vederlo, affacciato al balcone (privata dimora: il giudice definirà il balcone "una pertinenza dell'abitazione, luogo quindi destinato all'esplicarsi della vita privata con diritto di escluderne gli sguardi indiscreti di terzi e sopratutto la ripresa di immagini fotografiche e la pubblicazione delle stesse") e magari abbigliato alla meno peggio, dopo aver terminato alcuni lavori di tinteggiatura all'abitazione. 2. Il convenuto Di nascosto, dalla terrazza di fianco, lo fotografa colui che nella storia assumerà le vesti del convenuto. Per la moglie (del convenuto), che vincerà le spese di giudizio, il Giudice spiegherà in motivazione che l'attore "non ha dedotto argomenti idonei a sostenere la responsabilità della stessa nell'illecito patiti… non ha… allegato circostanze specifiche idonee a dimostrare che proprio il like apposto dalla signora… (omissis) abbia contribuito alla lesione del suo onore (dovendosi escludere ogni collegamento del fatto contestato alla lesione della privacy)". Che ne fa mai il futuro convenuto dello scatto che avvenne senza consenso dell'effigiato? In assenza di giustificazioni "posta" (abominevole neologismo di verbo transitivo che significa inserire qualcosa in internet) l'immagine nella sua bacheca Facebook, il più importante social network dal quale, in plateale controtendenza globale, mi sono sempre tenuto cautamente alla larga; non appartengo alla comunità, me ne consolo. Fosse soltanto questo, pace. Questa storia non sarebbe mai esistita. 3. Il commento in calce alla foto inserita nel profilo Facebook del convenuto E no! Viene aggiunto a corredo dello scatto rubato il seguente, testuale commento: "A volte si lavora tanto sull'estetica del condominio e poi basta un particolare del balcone a fianco a rovinare tutto…". Un modo sottile per affermare che la visuale è come… "rovinata" dall'aspetto esteriore del dirimpettaio. L'intenzione, goffamente ammantata dal convenuto di varie ed inverosimili giustificazioni (usare la foto allo scopo di sensibilizzare i condomini in vista di un'assemblea, effigiare non la persona ma la ringhiera del balcone, peraltro nel fotogramma pare visibile a malapena), è denigrare e dileggiare, suscitare la derisione. In definitiva, si sarebbe potuto anche ritrarre un giudizio di temerarietà della lite dalla giustificazione che bersaglio del post fosse il balcone e non il soggetto effigiato. Oltretutto nessuno dei commentatori sul social ha formulato osservazioni sulla ringhiera del balcone… Oppure si sarebbero potuti desumere argomenti di valutazione dall'affermazione, decisamente non credibile, del convenuto che opina di avere postato la foto e, poi, di aver omesso di seguirne l'evoluzione, smentita all'evidenza dalle notifiche che riceve il titolare dell'account, sia che si tratti di un commento, sia che sia giunto un semplice "mi piace". Inoltre, l'aver fatto ricorso la consorte del convenuto principale (già cumulativamente denunciata in sede penale "oltre agli eventuali terzi coinvolti/commentatori in conseguenza della pubblicazione sul social network...", e pare che la posizione non sia stata archiviata per infondatezza della notitia criminis) ad una difesa separata ha di certo aggravato e sbilanciato la posizione di soccombenza dell'attore, rendendola pesante: un espediente che forse il Tribunale estense avrebbe potuto sanzionare. 4. L'aspetto fisico dell'attore I dettagli nelle storie, processuali e non, sono importanti e io debbo curarli nella composizione del racconto. L'attore è affetto da strabismo evidente. Probabilmente ci soffre molto proprio come un mio condomino che, ragazzo di bell'aspetto, di ingegno anche brillante e dirigente di una ditta, purtroppo ha una malformazione ad una mano; rattrappita dalla nascita, la tiene sempre lontano dagli sguardi indiscreti. 5. Un lontano precedente - capostipite del Tribunale di Monza Anni fa - era il 12 aprile 2010 - capitò proprio a me di redigere per questa Rivista telematica una nota alla sentenza del Tribunale di Monza - Est. Piero Calabrò - sul tema della diffamazione a mezzo Facebook e per il quale "ogni utente di social network che sia destinatario di un messaggio lesivo della propria reputazione, dell'onore e del decoro, ha diritto al risarcimento del danno morale o non patrimoniale, ovviamente da porre a carico dell'autore del messaggio medesimo". Ricordo che Piero Calabrò contribuì, a partire dal 1999, ad invertire il trend giurisprudenziale sull'anatocismo bancario e a sanzionare come illegittimo il modo di operare del sistema bancario. Fu una primizia assai emblematica quella pronuncia e ben si attaglia al nostro caso per via addirittura della stessa imperfezione fisica: lo strabismo. Nella nostra fattispecie seguono i commenti di quindici persone, visibili a tutti sulla bacheca Facebook, priva di filtri privacy e, dunque, pubblica. 6. I commenti dei visitatori della bacheca I visitatori approvano l'iniziativa nella serata del 20 luglio 2013, appongono in sequenza dei "like", fra i quali si segnala quello della consorte del… postatore che - ne abbiamo già riferito in apertura - verrà convenuta in giudizio al pari del marito. I commenti si arrestano quando un altro fruitore della visione del post ammonisce seccamente: "… (omissis = nome di battesimo del convenuto), privacy". 7. La figlia dell'attore vede il post Nell'incontrollata ed indistinta diffusione del post lo legge anche la figlia ventenne dell'attore, che si reca insieme alla madre presso l'abitazione dell'incauto internauta, ma questi non le accoglie in casa e sopratutto non si scusa della sua condotta. 8. Il verdetto Il giudice estense riconosce il buon diritto dell'attore: definisce la pubblicazione "lesiva" e riconosce (ma non è indicato in sentenza in base a quale parametro) che la somma di €1.500 sia "adeguata a risarcire il danno provocato". Demolisce i pretesti frapposti dal convenuto con questa frase: "la tesi difensiva secondo la quale la pubblicazione non voleva colpire il sig…. (omissis, cognome dell'attore), ma doveva essere contestualizzata nell'ambito dei lavori per il rifacimento del balcone non è seriamente credibile", frazionando, però, le spese del giudizio secondo il congegno introdotto all'art. 91 c.p.c., primo comma. Siamo allo snodo del racconto. E poi nessuna temerarietà a carico del convenuto. Un passo indietro: il fulcro della storia è che il Giudice aveva elaborato al convenuto, all'udienza apposita, la proposta conciliativa di versare €. 3.000 all'attore, che, però, non aveva accettato. Ma è pur vero che non vi era stata offerta reale banco judicis e, poi, il quantum risarcitorio nella materia d'interesse non può essere agevolmente predeterminato. Oltretutto, la gravità del fatto avrebbe potuto legittimamente creare un'aspettativa, in capo al danneggiato, al fine di ottenere un risarcimento ben maggiore di quanto venne proposto. E allora che accade in sintesi? In sede penale, rientrando il reato nei limiti di applicabilità fissati dall'art. 131 bis, 1° co. prima parte e 4°, c.p., con decreto del Gip di Ferrara 21.7.2016 era stata ravvisata la particolare tenuità del fatto. In sede civile l'attore vede vanificato il suo diritto, pur riconosciuto giudizialmente, a cagione della suddivisione tra spese processuali anteriori e posteriori all'epoca dell'offerta. Annota il Tribunale di Ferrara: "quanto dal rapporto processuale con… (omissis = cognome del convenuto) occorre dare atto che l'attore non ha accettato la proposta transattiva che gli sarebbe stata favorevole formulata dal convenuto all'udienza del… giugno 2016". Nel corpo della decisione che rinvenite qui in calce allegata si menziona la brevità della vita (pare che l'immagine che raffigurava l'attuale attore e il commento incriminati siano rimasti visibili online dal 20 luglio al 3 agosto 2013) del post: "la durata della pubblicazione è stata limitata nel tempo, ciò che inevitabilmente ne ha ridotto in modo importante la portata lesiva, e che si tratta di pubblicazione isolata; che la durata della visibilità casuale dei singoli post su Facebook è di certo ridotta a poche ore laddove la visibilità protratta nel tempo dipende dal numero e dalla frequenza dei contributi di commenti o like, protratti nel tempo, circostanza che non risulta essere occorsa nel caso di specie". E' anche vero che la rimozione del post dal profilo Facebook del convenuto più che spontanea potrebbe essere stata ascrivibile al fatto che moglie e figlia dell'attore, nel far visita alla controparte per lamentare l'illecito e per richiedere spiegazioni e scuse, probabilmente indussero il convenuto a recedere dalla condotta diffamatoria (scrive il Gip nell'ordinanza di archiviazione del 21 luglio 2016 per tenuità del fatto che "sia configurabile il reato di diffamazione"). 9. La tematica del danno. Ma non risultano specificati i criteri di individuazione dell'importo, quali, a titolo esemplificativo, i precedenti della giurisprudenza di merito, ai quali la proposta conciliativa prima e la decisione poi si sarebbero ispirate. In materia, inoltre, non esistono parametri di legge come, per contro, accade per la materia della responsabilità civile automobilistica e medico-sanitaria, per le quali esiste la tabella elaborata con il Codice delle Assicurazioni Private, ancora di operatività limitata ai microdanni, inferiori o pari al 9%, perché l'articolo 138 Cod. Ass. rimane lettera morta pur a distanza di un decennio. Del resto, in generale nella materia si naviga a vista in acque ove solitamente la discrezionalità impera. Infine, il giudicante ferrarese non ha dato ingresso alla prova per testi capitolata dall'attore in ordine alle circostanze del caso concreto, che avrebbe potuto, forse, recare apporti di tipo personalizzante. In proposito, non abbiamo potuto esaminare i capitoli di prova della memoria istruttoria dell'attore, che probabilmente riguardavano il pregiudizio di natura parentale, avuto riguardo al rapporto alterato con la figlia. Dopo l'accaduto, si desume da un passo iniziale della sentenza, la figlia provava vergogna per il modo in cui era stato posto alla berlina il padre. Fine della storia. L'attore risulta così vincitore nel merito (ottiene il risarcimento del danno) ma soccombente di fatto dato che dovrà versare al convenuto le spese di lite relative alle fasi di trattazione e decisoria, mentre potrà essere rimborsato solo delle spese riguardanti le fasi di studio ed introduttiva. In sintesi, al termine del processo l'attore percepirà un risarcimento di 1.500 euro (a titolo di danno non patrimoniale "presunto") e il rimborso delle spese di lite anteriori all'offerta conciliativa ma pagherà a chi lo ha danneggiato 2.000 di spese di lite (successive all'offerta) oltre che € 3.500 per le spese legali sostenute dalla moglie del convenuto (difesasi separatamente). |
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